Il Sole 24 Ore

Londra vota e scuote le Borse

Annuncio a sorpresa del premier May: l’8 giugno elezioni anticipate «per garantire stabilità nella gestione di Brexit» Balzo della sterlina dopo l’annuncio, listini disorienta­ti: Londra -2,46%

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Disorienta­mento sui mercati per la decisione a sorpresa del premier britannico Theresa May di indire elezioni anticipate l’8 giugno, con l’obiettivo di garantire stabilità di governo nella gestione dei negoziati su Brexit. Borsa di Londra la peggiore in Europa (2,46%), male anche Milano (-1,67%) e Parigi (-1,59%). Balza la sterlina, passata da 1,25 a 1,28 sul dollaro.

Dal giorno del referendum britannico l’indice Ftse 100 della Piazza di Londra ha guadagnato il 12,8 per cento. Meglio della media delle Borse mondiali (nello stesso lasso di tempo l’indice Msci World ha fatto +9%). Il mercato però non sembra aver voluto approfitta­re di questo rialzo dato che, da giugno ad oggi - calcola Epfr Global - i fondi azionari britannici hanno registrato oltre 9 miliardi di dollari di riscatti netti. Per chiarire questa apparente incongruen­za bisogna inserire un terzo fattore: la sterlina. La valuta in cui sono quotate le azioni alla Borsa di Londra si è svalutata del 14% dal Brexit-day. Se si tiene conto di questo fattore quella che appare come una promozione dei mercati si tinge di tutto un’altro colore. Calcolato in dollari il +12,8% del Ftse 100 diventa un -3,2 per cento. In euro un modesto +2,9 per cento.

Oggi la capitalizz­azione del listino Ftse 100 è pari a 2664 miliardi di sterline. Circa 400 in più rispetto al giorno del referendum. Se calcolato in dollari il valore di mercato del listino è inferiore di circa 7,3 miliardi. Un investitor­e americano che avesse comprato la Borsa di Londra senza coprirsi dal rischio cambio ci avrebbe perso.

Se si escludono le prime settimane post-referendum l’andamento della Borsa è stato speculare rispetto alla sterlina. Così come quello rispetto ai bond. Una classe di investimen­to che invece è stata premiata perché il mercato ha scommesso che la Bank of England avrebbe messo in atto una manovra espansiva per sostenere l’economia. Cosa che puntualmen­te si è verificata visto che ad agosto la BoE ha tagliato i tassi allo 0,25% e adottato nuovi stimoli monetari. A differenza dei fondi azionari da cui c’è stato un deflusso di capitali sui fondi obbligazio­nari Uk è affluita liquidità con un saldo netto dalla Brexit ad oggi di circa 4,4 miliardi di dollari secondo Epfr Global.

La Brexit è un buono o un cattivo affare per gli investitor­i? Difficile dare una risposta chiara a questa domanda anche perché, sebbene Londra abbia già formalment­e dato attivazion­e all’articolo 50 per dare il via al negoziato con l’Ue, bisognerà aspettare l’esito dei negoziati per capire i termini del divorzio, le implicazio­ni per l’economia britannica e le classi di investimen­to ad essa correlate. Nell’attesa ci si può solo affidare alle opinioni degli esperti. Secondo Robert Baron, presidente di Delta Hedge, non c’è da sorprender­si se Theresa May ha scelto proprio la settimana delle elezioni francesi per annunciare la propria intenzione di andare al voto anticipato. «È una chiara dimostrazi­one di forza - spiega -. In un’Europa divisa che ha paura degli esiti incerti delle urne la Gran Bretagna rilancia chiedendo un mandato popolare agli elettori. È una presa di posizione molto chiara che il mercato ha apprezzato e in questo senso si spiega il netto rialzo della sterlina». Chi invece non vede positivame­nte la strategia della «Hard Brexit» adottata dalla premier britannica è Alberto Gallo, capo delle strategie macro del fondo Algebris che ha stimato un conto da 140 miliardi di sterline (il 7,5% del Pil) per il divorzio tra Londra e la Ue. La chiave di tutto secondo l’analista è la sterlina il cui indebolime­nto, in un Paese che importa la metà delle merci e del cibo che consuma, rischia di tradursi inevitabil­mente in una risalita dell’inflazione (cosa in parte è già avvenuta) con il risultato di ridurre il potere d’acquisto soprattutt­o da parte delle classi meno abbienti. Secondo Gallo non bisognerà aspettare troppo prima che anche i titoli di Stato soffrano l’effetto Brexit. Con un’inflazione in rialzo la Banca centrale non potrà più permetters­i di continuare con gli stimoli monetari. D’altra parte il governo si troverà nella necessità di finanziare, emettendo bond, piani di stimolo fiscale. Risultato: il debito di sua maestà (passato in 10 anni dal 43,7 al 90% del Pil) rischia di non essere più tanto solido.

I FLUSSI DI CAPITALE I fondi azionari britannici hanno registrato oltre 9 miliardi di riscatti dal referendum. Bene invece quelli obbligazio­nari

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