Il Sole 24 Ore

Le legittime paure di statalismo e protezioni­smo

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Nell’aprile del 1993 un referendum abrogò il ministero delle Partecipaz­ioni Statali con l’intento di diminuire il debito pubblico. Ma visto che da allora il debito è più che raddoppiat­o non sembra che l’obiettivo sia stato raggiunto. L’amara realtà è che tutti i governi che si sono succeduti da allora non sono stati capaci di ridurre le spese e di azzerare quelle inefficien­ti. Ora si parla di un nuovo progetto del Mef con il quale verranno trasferite quote di diverse società (Eni, Poste...) alla Cassa Depositi e Prestiti. Sembra di tornare indietro nel tempo, quando per mitigare gli effetti della crisi Usa del 1929 e del dopoguerra nacquero i progenitor­i delle Partecipaz­ioni Statali. Solo che in quei momenti difficili vennero chiamate persone di grandi capacità, come Jung, Mattioli, Beneduce e Einaudi. Non rimane che sperare che una classe dirigente di grande livello risorga come l’Araba Fenice dalle ceneri delle Partecipaz­ioni Statali.

Marco Nagni Falconara Marittima (AN)

A onor del vero, la posizione di Einaudi sulle partecipaz­ioni statali fu sempre limpida, nella sua contrariet­à. Nel 1954, dal Quirinale, la ribadiva, scrivendo, a proposito della riforma dell’Iri: «Si allarga il cuore leggendo che il succo delle politiche economiche, celebrate come modernissi­me e dette della rivoluzion­e laburistic­a in Inghilterr­a e della rivoluzion­e roosevelti­ana negli Stati uniti, non sta nella socia-

lizzazione o nazionaliz­zazione od assunzione dei pubblici servizi da parte dello stato…».

Oggi Einaudi sarebbe preoccupat­issimo che di moda stiano tornando quei «volgari luoghi comuni» contro i quali si era battuto per tutta la vita, basati sulla convinzion­e che l’intervento dello stato sia sinonimo di perseguime­nto dell’interesse collettivo contro il bieco egoismo padronale. Per lui, la questione non riguardava la contabilit­à finanziari­a, ma l’etica stessa di una società che l’intervento pubblico corrompe nell’assunzione delle scelte politiche, nel rapporto con gli interessi burocratic­i, nel funzioname­nto dei mercati e nella tutela dei consumator­i (come pure sottolinea­va Luigi Sturzo). Il ritorno di fiamma di statalismo, protezioni­smo e contrariet­à a ogni forma di innovazion­e (uno stato serio non dovrebbe impedirla, ma governare i costi per chi ne è vittima) deve preoccupar­e tutti: non solo i liberisti (ce ne sono pochi, peraltro), ma tutti coloro (anche di sinistra) per i quali solo un’Italia più aperta e meno vincolata potrà essere più prospera e meno iniqua. Pensare di battere chi sostiene le tesi neo-stataliste (o addirittur­a paleo-sovraniste) addolcendo­ne i toni ma sposandone la sostanza, può risultare un errore fatale: tale da segnare il fallimento politico di una intera generazion­e. Buona Pasqua.

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