Anche la Brexit può aiutare il rilancio dell’Europa
Gentile Fabi, senza dubbio scoprire le proprie carte troppo presto non è mai una buona idea in politica. Ma resta il fatto che sei mesi dopo aver assunto il comando del Regno Unito dopo il referendum sulla Brexit, la premier Theresa May non ha ancora chiarito in quale maniera intenda gestire la trattativa sull’uscita dalla Ue che dovrebbe prendere il via entro fine marzo. Intanto il partito conservatore è spaccato tra chi vorrebbe mantenere legami con la Ue sotto forma di un accordo di associazione e chi preferirebbe tagliare i ponti e avere il controllo delle frontiere, per poi commerciare con il resto del mondo nel quadro di accordi bilaterali che richiederanno tempi lunghi per venire sottoscritti. Sino ad ora il governo non ha svelato i piani e il rappresentante permanente del Regno Unito a Bruxelles si è dimesso in segno di protesta per la poca chiarezza mostrata dai britannici sui negoziati con la Ue. Sull’argomento c’è una tale incertezza che il settimanale The Economist ha cominciato a chiamarla Theresa Maybe. Negli ultimi giorni sembra prevalere l’idea di una Brexit “hard”. Intanto la sterlina scivola sul mercato dei cambi per l’assenza di una strategia chiara da parte dell’esecutivo britannico. La valuta ha perso in pochi mesi il 20% del valore rispetto al dollaro (toccando il livello più basso da oltre un secolo) e all’euro, rendendo sempre più pesante il costo delle importazioni di materie prime. Contemporaneamente le stime sul Pil del 2017 e del 2018 sono state ridotte al ribasso dalla Bank of England. Eppure c’è chi guarda alla scelta inglese come a un successo. Caro Tiberi, per ora Brexit sembra l’araba fenice: “che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”. Se fosse veramente quella prospettiva di crescita e benessere che viene descritta non
si vede perché il Governo inglese abbia deciso di aspettare nove mesi (ammesso che la lettera di apertura dei negoziati venga inviata effettivamente a fine marzo) per passare dal- l’esito del voto sul referendum alla sua attuazione. Al di là dei fatti concreti, che restano comunque il dato fondamentale, la vicenda Brexit sembra quasi riassumere molti degli aspetti dell’attuale crisi della democrazia. Perché le apparenze hanno facile gioco sulla realtà, gli slogan vincono sulle riflessioni, i giudizi sommari hanno sempre la meglio sui ragionamenti.
Una volta la si chiamava propaganda e la si poteva distinguere abbastanza facilmente dal resto della vita politica e sociale. Ora non sembrano esserci confini e il consenso passa sempre più attraverso le dichiarazioni ultimative e le promesse clamorose.
Guardiamo a Brexit dalla nostra parte della Manica. Vi è sperare che la trattativa con gli inglesi trovi un’Europa unita e solidale, un’Europa che sappia cogliere l’occasione per ribadire le ragioni di un cammino che va certamente corretto e adeguato, ma che ha tutto da guadagnare nell’essere rifondato e consolidato.