Il liquidatore può impugnare l’atto
pL’articolo 28 del decreto legislativo 175/2014 ha ampliato l’ambito della responsabilità a carico dei liquidatori in misura tale che diventa difficile trovare professionisti disposti ad accettare questo incarico.
La nuova stesura dell’articolo 36 del Dpr 602/73 afferma che in caso di accertamento alla società si presume la responsabilità del liquidatore sino a prova contraria, prova che dovrebbe consistere nel dimostrare di aver soddisfatto i crediti tributari prima dell’assegnazione di beni ai soci o associati, o di avere soddisfatto solo crediti di ordine superiore a quelli tributari.
Tuttavia, anche se la norma non lo dice, è logico affermare che, se alla chiusura della liquidazione non sussisteva alcun debito tributario, al liquidatore non può essere chiesto nulla. Per cui non può che essere l’amministrazione a dimostrare (ora come in passato) che sussistevano pretese notificate in precedenza che sono state ignorate, e nessuna presunzione legale può obliterare questo principio.
Al di là della responsabilità in proprio, spesso l’ex liquidatore si vede notificare atti riferiti alle società cessate quale semplice “destinatario” della pretesa rivolta alla società stessa e ai soci. In proposito, appare sicuramente corretta la posizione della Cassazione (generalmente accolta dai giudici di merito) secondo cui è nullo l’accertamento notificato all’ex liquidatore (se non per la sua personale responsabilità), in quanto persona inidonea a ricevere l’atto. Tutta- via, il suo ricorso contro l’atto notificato è ammissibile per far rilevare la nullità del provvedimento impugnato, essendo questo un interesse meritevole di tutela in giudizio.
Molto delicata è la situazione delle società cessate in corso di giudizio, sia attivo che passivo. Anche qui le esigenze da tutelare hanno un duplice ordine: consentire che chi vanta crediti non sia frustrato dalla chiusura della società e, d’altro canto, permettere ai soci di far valere le proprie ragioni a prescindere dalla persistenza in vita dell’ente societario.
In proposito la Cassazione ha affermato che con l’estinzione della società si determina un evento interruttivo del processo, in base all’articolo 299 del Codice di procedura civile, salvo che coloro ai quali spetta di proseguirlo si costituiscano volontariamente, oppure l’altra parte provveda a citarli in riassunzione osservando i termini di legge.
Nei procedimenti intrapresi dalla società occorre distinguere tra rapporti giuridici (che proseguono in capo ai soci) e mere pretese, che si intendono implicitamente rinunciate per via della cancellazione, con la conseguenza che i soci non possono più farle valere.
Nel processo tributario, inoltre, sussiste il problema che, passando dalla società ai soci, vi è un ampliamento dell’oggetto del giudizio, che si arricchisce dei requisiti indispensabili affinché la responsabilità di questi ultimi possa essere fatta valere. Tema che, presumibilmente, non è stato oggetto di discussione sino all’intervenuta estinzione.
Si tratta di questioni piuttosto complesse, verso le quali le norme in vigore non paiono sufficienti e su cui anche la giurisprudenza non sembra aver trovato approdi sicuri da poter prendere a riferimento.
PER I PROCESSI IN CORSO I rapporti giuridici continuano in capo ai soci mentre le mere pretese non possono più essere fatte valere