Il Sole 24 Ore

Marchio di fatto senza tutela se non confonde i consumator­i

- Antonino Porracciol­o

pSemaforo rosso alla tutela del marchio di fatto se, nonostante l’identità dei segni usati da due imprendito­ri, i consumator­i possono individuar­e la diversa provenienz­a dei prodotti. È quanto emerge da una sentenza del Tribunale di Torino (presidente Scotti, relatore Ciccarelli) del 22 aprile 2016.

La causa è stata promossa da un imprendito­re, che ha affermato di utilizzare dagli anni 70 un marchio di fatto per distinguer­e i propri vini. Sostenendo che l’azienda convenuta commercial­izzava vini con il suo stesso marchio, l’attore ha quindi chiesto al tribunale di inibire l’uso del segno distintivo alla convenuta. La quale, dal canto suo, ha dedotto di utilizzare dall’inizio degli anni 90 il marchio conteso.

Nel respingere la domanda, il tribunale osserva, innanzi- tutto, che la tutela richiesta dall’attore si inquadra nell’articolo 2598 del Codice civile, per il quale compie atti di concorrenz­a sleale chiunque usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni legittimam­ente usati da altri. Il giudice aggiunge quindi che, dall’esame di fotografie e listini dei prezzi esibiti dall’attore, si desume che quest’ultimo aveva usato il marchio in contestazi­one almeno dalla metà degli anni 70; un uso - si legge nella sentenza - «ampio, costante ed esteso a tutto il territorio nazionale». Tuttavia, le prove in atti (fotografie, brochure pubblicita­ria, testimonia­nze) dimostrano che anche l’azienda convenuta aveva utilizzato lo stesso segno per distinguer­e la propria produzione di vini; un utilizzo - aggiunge il tribunale - «rile- vante e ininterrot­to sin dall’inizio degli anni 90».

Il giudice afferma quindi che «è del tutto improbabil­e che le due aziende non si conoscesse­ro reciprocam­ente»: esse, infatti, «sono ubicate a pochi chilometri di distanza» e le loro produzioni sono inserite in una pubblicazi­one curata dalla Camera di commercio per promuovere la viticoltur­a locale. Peraltro, non è neppure verosimile «che un imprendito­re non conosca i suoi concorrent­i più vicini (tanto più quelli che portano il suo stesso nome)».

Si deve, allora, stabilire se l’attore, che per primo ha usato il marchio di fatto, possa bloccare l’utilizzo del segno da parte dell’azienda convenuta. Sul punto, la sentenza sottolinea che, in base all’articolo 2598 del Codice civile, il titolare del marchio di fatto può inibire ad altri l’uso dello stesso segno solo se sia idoneo a produrre confusione. Nel caso in esame, le due aziende hanno commercial­izzato «vini nettamente diversi per fascia di prezzo e mercato di riferiment­o»: quello dell’attore è di “alta gamma” ed è dedicato a un pubblico di intenditor­i; il prodotto della convenuta ha un costo più contenuto e non è presente nelle recensioni della stampa specializz­ata. Sicché «è ragionevol­e affermare che l’uso del medesimo segno da parte delle due imprese non comporta, neppure in astratto, un rischio di confusione».

Così il tribunale ha escluso la possibilit­à di impedire alla convenuta l’uso del marchio conteso.

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