Marchio di fatto senza tutela se non confonde i consumatori
pSemaforo rosso alla tutela del marchio di fatto se, nonostante l’identità dei segni usati da due imprenditori, i consumatori possono individuare la diversa provenienza dei prodotti. È quanto emerge da una sentenza del Tribunale di Torino (presidente Scotti, relatore Ciccarelli) del 22 aprile 2016.
La causa è stata promossa da un imprenditore, che ha affermato di utilizzare dagli anni 70 un marchio di fatto per distinguere i propri vini. Sostenendo che l’azienda convenuta commercializzava vini con il suo stesso marchio, l’attore ha quindi chiesto al tribunale di inibire l’uso del segno distintivo alla convenuta. La quale, dal canto suo, ha dedotto di utilizzare dall’inizio degli anni 90 il marchio conteso.
Nel respingere la domanda, il tribunale osserva, innanzi- tutto, che la tutela richiesta dall’attore si inquadra nell’articolo 2598 del Codice civile, per il quale compie atti di concorrenza sleale chiunque usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni legittimamente usati da altri. Il giudice aggiunge quindi che, dall’esame di fotografie e listini dei prezzi esibiti dall’attore, si desume che quest’ultimo aveva usato il marchio in contestazione almeno dalla metà degli anni 70; un uso - si legge nella sentenza - «ampio, costante ed esteso a tutto il territorio nazionale». Tuttavia, le prove in atti (fotografie, brochure pubblicitaria, testimonianze) dimostrano che anche l’azienda convenuta aveva utilizzato lo stesso segno per distinguere la propria produzione di vini; un utilizzo - aggiunge il tribunale - «rile- vante e ininterrotto sin dall’inizio degli anni 90».
Il giudice afferma quindi che «è del tutto improbabile che le due aziende non si conoscessero reciprocamente»: esse, infatti, «sono ubicate a pochi chilometri di distanza» e le loro produzioni sono inserite in una pubblicazione curata dalla Camera di commercio per promuovere la viticoltura locale. Peraltro, non è neppure verosimile «che un imprenditore non conosca i suoi concorrenti più vicini (tanto più quelli che portano il suo stesso nome)».
Si deve, allora, stabilire se l’attore, che per primo ha usato il marchio di fatto, possa bloccare l’utilizzo del segno da parte dell’azienda convenuta. Sul punto, la sentenza sottolinea che, in base all’articolo 2598 del Codice civile, il titolare del marchio di fatto può inibire ad altri l’uso dello stesso segno solo se sia idoneo a produrre confusione. Nel caso in esame, le due aziende hanno commercializzato «vini nettamente diversi per fascia di prezzo e mercato di riferimento»: quello dell’attore è di “alta gamma” ed è dedicato a un pubblico di intenditori; il prodotto della convenuta ha un costo più contenuto e non è presente nelle recensioni della stampa specializzata. Sicché «è ragionevole affermare che l’uso del medesimo segno da parte delle due imprese non comporta, neppure in astratto, un rischio di confusione».
Così il tribunale ha escluso la possibilità di impedire alla convenuta l’uso del marchio conteso.