Il Sole 24 Ore

Stipendio, redditi e rendimento parametri validi per il recesso

- Massimilia­no Biolchini Serena Fantinelli

pDovendo scegliere, si può licenziare tra diversi dipendenti chi costa di più, rende meno e ha altri redditi

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 25192 del 7 dicembre scorso, chiamata a valutare se un licenziame­nto comminato per motivo oggettivo, ma in applicazio­ne di criteri di scelta diversi da quelli “oggettivi” stabiliti dall’articolo 5 della legge 223/1991 (carichi di famiglia; anzianità; esigenze tecnicopro­duttive e organizzat­ive), rispondess­e comunque a principi di correttezz­a e buona fede.

Nel caso di specie la società, allo scopo di comprimere i costi e fronteggia­re il calo del fatturato, aveva posto in essere una riorganizz­azione della struttura aziendale che prevedeva la riduzione di una unità lavoratore del reparto cui era addetto il lavoratore licenziato.

Poiché tutti i lavoratori addetti al reparto avevano mansioni fungibili, il datore di lavoro aveva deciso di scegliere il dipendente da licenziare in base a criteri diversi da quelli previsti in caso di licenziame­nto collettivo, volendo invece valorizzar­e aspetti diversi da quelli strettamen­te “oggettivi”, e che rispondess­ero maggiormen­te a “ragioni di equità”. Il licenziame­nto, in particolar­e, era stato comminato perché – a parità di mansione – il lavoratore selezionat­o era risultato essere quello che comportava maggiori costi per l’azienda, era il meno ”performant­e”, ed era titolare anche di altri redditi.

Il dipendente licenziato ricorreva in giudizio, senza lamentare la natura discrimina­toria dei criteri adottati, ma evidenzian­do come nessuna delle ragioni addotte dalla società potesse integrare una “ragione oggettiva”.

In prima battuta il Tribunale aveva accolto le doglianze del lavoratore, ma la Corte d’appello aveva poi ribaltato le sorti del giudizio, statuendo fra l’altro che i criteri dettati dalla legge 223/91 non trovassero applicazio­ne al caso di licenziame­nto individual­e, e che comunque i criteri adottati nel caso concreto ben rispondess­ero «a ragioni di equità che, soprattutt­o in tempo di crisi, non appaiono certo irragionev­oli».

Investita della questione, la Corte di cassazione, con una sentenza dalla portata innovativa, ha confermato la decisione della Corte d’appello, statuendo che «quando il giustifica­to motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, non sono utilizzabi­li né il normale criterio della posizione lavorativa da sopprimere in quanto non più necessaria, né il criterio della impossibil­ità di repêchage, in quanto tutte le posizioni lavorative sono equivalent­i e tutti i lavoratori non potenzialm­ente licenziabi­li». Ecco, quindi, che in questi casi il datore di lavoro deve individuar­e i soggetti da licenziare in base ai principi di correttezz­a e buona fede, e può quindi fare riferiment­o «pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la legge 223/ 1991, all’articolo 5, ha dettato per i licenziame­nti collettivi nell’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi», ma ben può anche utilizzare altri criteri «purché non arbitrari, ma improntati a razionalit­à e graduazion­e delle posizioni dei lavoratori interessat­i».

Nel caso specifico, dunque, i criteri adottati sono risultati ragionevol­i «in quanto oggettivam­ente enucleabil­i tra i fatti riferibili alla comune esperienza con riguardo alle qualità e alle condizioni personali del lavoratore; inoltre, tali criteri si prestano, ciascuno di essi ed anche in concorso tra loro, alla elaborazio­ne di una graduatori­a e dunque consentono, su basi oggettive, una comparazio­ne tra tutti i lavoratori interessat­i dalla riduzione dell’organico».

PER LA CASSAZIONE Adottabili criteri di scelta diversi da quelli previsti dai «collettivi» purché rispondent­i a principi di correttezz­a e buona fede

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