Stipendio, redditi e rendimento parametri validi per il recesso
pDovendo scegliere, si può licenziare tra diversi dipendenti chi costa di più, rende meno e ha altri redditi
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 25192 del 7 dicembre scorso, chiamata a valutare se un licenziamento comminato per motivo oggettivo, ma in applicazione di criteri di scelta diversi da quelli “oggettivi” stabiliti dall’articolo 5 della legge 223/1991 (carichi di famiglia; anzianità; esigenze tecnicoproduttive e organizzative), rispondesse comunque a principi di correttezza e buona fede.
Nel caso di specie la società, allo scopo di comprimere i costi e fronteggiare il calo del fatturato, aveva posto in essere una riorganizzazione della struttura aziendale che prevedeva la riduzione di una unità lavoratore del reparto cui era addetto il lavoratore licenziato.
Poiché tutti i lavoratori addetti al reparto avevano mansioni fungibili, il datore di lavoro aveva deciso di scegliere il dipendente da licenziare in base a criteri diversi da quelli previsti in caso di licenziamento collettivo, volendo invece valorizzare aspetti diversi da quelli strettamente “oggettivi”, e che rispondessero maggiormente a “ragioni di equità”. Il licenziamento, in particolare, era stato comminato perché – a parità di mansione – il lavoratore selezionato era risultato essere quello che comportava maggiori costi per l’azienda, era il meno ”performante”, ed era titolare anche di altri redditi.
Il dipendente licenziato ricorreva in giudizio, senza lamentare la natura discriminatoria dei criteri adottati, ma evidenziando come nessuna delle ragioni addotte dalla società potesse integrare una “ragione oggettiva”.
In prima battuta il Tribunale aveva accolto le doglianze del lavoratore, ma la Corte d’appello aveva poi ribaltato le sorti del giudizio, statuendo fra l’altro che i criteri dettati dalla legge 223/91 non trovassero applicazione al caso di licenziamento individuale, e che comunque i criteri adottati nel caso concreto ben rispondessero «a ragioni di equità che, soprattutto in tempo di crisi, non appaiono certo irragionevoli».
Investita della questione, la Corte di cassazione, con una sentenza dalla portata innovativa, ha confermato la decisione della Corte d’appello, statuendo che «quando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, non sono utilizzabili né il normale criterio della posizione lavorativa da sopprimere in quanto non più necessaria, né il criterio della impossibilità di repêchage, in quanto tutte le posizioni lavorative sono equivalenti e tutti i lavoratori non potenzialmente licenziabili». Ecco, quindi, che in questi casi il datore di lavoro deve individuare i soggetti da licenziare in base ai principi di correttezza e buona fede, e può quindi fare riferimento «pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la legge 223/ 1991, all’articolo 5, ha dettato per i licenziamenti collettivi nell’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi», ma ben può anche utilizzare altri criteri «purché non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati».
Nel caso specifico, dunque, i criteri adottati sono risultati ragionevoli «in quanto oggettivamente enucleabili tra i fatti riferibili alla comune esperienza con riguardo alle qualità e alle condizioni personali del lavoratore; inoltre, tali criteri si prestano, ciascuno di essi ed anche in concorso tra loro, alla elaborazione di una graduatoria e dunque consentono, su basi oggettive, una comparazione tra tutti i lavoratori interessati dalla riduzione dell’organico».
PER LA CASSAZIONE Adottabili criteri di scelta diversi da quelli previsti dai «collettivi» purché rispondenti a principi di correttezza e buona fede