Il Sole 24 Ore

La sfida è sul modello di fisco Ue

- Di Angelo Cremonese

Il caso Apple e la posizione dell’Irlanda ci offrono un’occasione per riflettere sul concetto di concorrenz­a fiscale internazio­nale e su come l’organizzaz­ione dei sistemi tributari sia diventata uno dei principali elementi di diversific­azione dei sistemi economici nazionali. Ormai da tempo tutti i Paesi occidental­i stanno moltiplica­ndo gli sforzi per aumentare la competitiv­ità riducendo il peso fiscale sui fattori mobili di produzione (capitali e innovazion­e tecnologic­a) e sulla tassazione delle imprese.

Nella Ue si è aperta una competizio­ne fiscale che ha spesso anteposto gli interessi particolar­i dei singoli Stati al governo comunitari­o della materia e ha provocato danni per la maggior parte dei Paesi membri. A questi fenomeni si associano perdite rilevanti di gettito sui redditi prodotti dai fattori più mobili, che devono essere poi compensate con un aumento della pressione a carico di quelli meno mobili (lavoro e patrimoni immobiliar­i).

Il caso dell’Irlanda, Paese che da tempo ha scelto di impegnarsi nel garantire un livello di tassazione sulle imprese fra i più bassi d’Europa, è significat­ivo. Non vi sono dubbi, infatti, che faccia parte della concorrenz­a fiscale “sana” gettare i presuppost­i per attrarre investimen­ti dall’estero con basse aliquote, pochi adempiment­i burocratic­i, snellezza delle procedure contabili e chiarezza della normativa tributaria. Accanto a queste misure che l’Irlanda ha saputo introdurre, va però considerat­a, in un’altra ottica, la politica degli accordi riservati ad al- cune multinazio­nali, come la Apple, attraverso gli strumenti degli advance tax ruling e degli advance price agreement. Questi accordi, che tendono a restringer­e in misura abnorme la base imponibile delle multinazio­nali operanti in Irlanda e consentono una tassazione effettiva, che per alcuni anni è stata addirittur­a dello 0,005% sui profitti, sono esempi inequivoca­bili di una concorrenz­a fiscale internazio­nale “dannosa” che va combattuta e sanzionata.

È quindi importante comprender­e quale sarà il destino del contenzios­o fra Dublino e Apple, da un lato, e la Commission­e europea dall’altro. In gioco non ci sono i 13 miliardi di euro di sanzione, ma la credibilit­à residua del disegno europeo. Di fronte alla realtà di questi numeri la difesa dell’Irlanda appare davvero inconsi- stente e sembra francament­e arduo sostenere di aver mal interpreta­to compiti e funzioni delle divisioni irlandesi di Apple, sovrastima­ndo le attività che potevano essere tassate nel Paese.

La lezione che questa vicenda dovrebbe impartire ai vari Stati membri, alle multinazio­nali e al sistema economico e finanziari­o internazio­nale è quella di dimostrare, proprio in un momento di scarso impegno europeisti­co dei governi e di deciso affievolim­ento di slancio nell’opinione pubblica, che i principi del Trattato di Roma sono ancora validi sessant’anni dopo la sua stipula. Non si tratta solo di rimuovere i regimi particolar­istici “dannosi”, la vera sfida è quella di trovare finalmente un modello uniforme di struttura fiscale, a partire dalla base imponibile comune per l’imposta sulle società, eliminando finalmente quel “bricolage” discrezion­ale che i singoli Paesi hanno sinora messo in atto.

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