Petrolio sotto 50 dollari Scorte Usa ancora giù ma l’Opec non convince
Tagli a rischio: anche l’Iraq reclama un esonero Il prezzo del bar ile scende ai minimi da fine settembre
pSono ormai due mesi che le scorte petrolifere negli Stati Uniti non smettono di calare. Anche la settimana scorsa l’Energy Information Administration (Eia) ha registrato una diminuzione, tradendo per l’ennesima volta non solo le attese degli analisti, ma anche le indicazioni fornite dall’American Petroleum Institute (Api), che diffonde analoghe statistiche con un anticipo di qualche ora. Quest’ultima aveva detto che le scorte di greggio erano risalite di 4,8 milioni di barili. Per l’Eia c’è stata invece una nuova riduzione di 553mila barili che le ha portate a 468,2 mb, livello tuttora elevato, ma comunque il minimo da gennaio.
Sono scese secondo l’Eia anche anche le giacenze di benzine (-2 mb), così come quelle di distillati (-3,4 mb) e di ogni altro prodotto raffinato. Il tutto nonostante la stagione autunnale (che di solito favorisce accumuli), nonostante un’accelerazione delle raffinerie ( l’utilizzo della capacità è salito dall’85 all’85,6%) e nonostante una ripresa, sia pure modesta, delle importazioni (a 7 mbg).
Oltre Oceano i consumi continuano a mostrare un tasso di crescita robusto. Ma questo non basta a cancellare del tutto la perplessità di fronte a una tale sfilza di dati settimanali a sorpresa. Anche il mercato non si è abbandonato all’entusiasmo: le quotazioni del barile, deboli fin da inizio seduta, non sono riuscite a in- vertire la rotta e hanno chiuso in ribasso dell’1,6%, con il Brent sotto 50 dollari per la prima volta dalla fine settembre (a 49,98 $). Il Wti si è invece attestato a 49,18 $.
Tra i numeri dell’Eia, d’altra parte, è anche emerso per la seconda settimana consecutiva un aumento della produzione di greggio, conseguenza quasi scontata della corsa a riattivare le trivelle (si veda il Sole 24 Ore del 22 ottobre: gli Usa sono tornati a estrarre 8,5 mbg, +40mila in una settimana, anche se tuttora 608mila bg in meno rispetto a un anno fa.
A influire negativamente sugli umori degli investitori, oggi fortemente sbilanciati su posizioni rialziste, è però soprattutto il braccio di ferro interno all’Opec. Man mano che si avvicina il fatidico vertice del 30 novembre, le difficoltà sembrano aumentare invece che appianarsi. L’Iraq in particolare si è decisamente messo di traverso all’accordo, con il ministro Jabar Ali al-Luaibi che domenica ha reclamato un esonero dai tagli di produzione, al pari di Nigeria e Libia, per via della «feroce guerra» che il paese sta combattendo contro lo Stato Islamico. Baghdad ha anche sfidato l’Opec bandendo una gara per assegnare contratti di sviluppo per 12 giacimenti «medio-piccoli» (si fa per dire, in quanto 9 di essi racchiudono riserve per 2,3 miliardi di barili, pari a quelle della Gran Bretagna). La data di scadenza per le candidature è proprio il 30 novembre.
Le richieste di esenzione o di vincoli attenuati (come nel caso dell’Iran) sono talmente numerose da riguardare un terzo della produzione Opec, stima Olivier Jakob di Petromatrix, che propone ironicamente di modificare l’acronimo del gruppo in Organization of Producers Exempt from Cuts. Per non perdere la faccia e rispettare il tetto di produzione definito ad Algeri, l’Arabia Saudita rischia a questo punto di doversi addossare da sola - o al massimo col contributo dei “soliti” alleati del Golfo Persico - un taglio tra 1,3 e 2 mbg, calcola Bloomberg. g.