Il Sole 24 Ore

La coesione diventa competitiv­ità

Più valore aggiunto per le imprese che sanno coinvolger­e consumator i e lavorator i Territori più performant­i se c’è attenzione a legalità, non profit e qualità della vita

- Francesco Prisco

pVi hanno probabilme­nte già detto tutto sull’importanza dell’apertura ai mercati internazio­nali o dell’accesso al credito per il successo di un’impresa. Quello che probabilme­nte nessuno vi ha ancora detto è che tra i fattori di successo di un soggetto imprendito­riale c’è anche il grado di “coesione”, ossia la capacità di camminare con le comunità, coinvolger­e i cittadini e i consumator­i, valorizzar­e e sostenere i lavoratori, relazionar­si alle energie dei territori. Un fattore che conta eccome, se consideria­mo che le imprese “coesive” d’Italia hanno registrato nel 2015 aumenti del fatturato nel 47% dei casi, mentre tra le imprese “non coesive” tale quota si ferma al 38 per cento.

Lo rivela il rapporto “Coesione è Competizio­ne. Le nuove geografie della produzione del valore in Italia” realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamer­e, uno studio che coglie fattori strategici che talvolta possono collocarsi su lunghezze d’onda che gli indicatori economici più diffusi non percepisco­no. Anche qui da noi ci sono infatti imprese che intratteng­ono relazioni con altri soggetti imprendito­riali, comunità, istituzion­i, consumator­i e terzo settore. E a quanto pare hanno una marcia in più che permette loro di andare lontano: il 10% delle imprese coesive ha dichiarato per esempio assunzioni nel 2015, contro il 6% delle altre. Idem dicasi per le esportazio­ni: le imprese coesive hanno ordinativi esteri in aumento nel 50% dei casi, a fronte del 39% delle non coesive e sono maggiormen­te presenti sui mercati internazio­nali (il 76% di esse sono esportatri­ci contro il 68% delle non coesive). Sempre le realtà attente alla coesione sono quelle che hanno nel dna una consideraz­ione maggiore di valori come l’ambiente (investe infatti in prodotti e tecnologie green il 53% delle imprese coesive contro il 38% delle non coesive), la creazione di occupazion­e e di benessere economico e sociale, gli investimen­ti in qualità (l’81% delle imprese coesive ha fatto social investment nel 2015 contro il 76% delle altre). «Con questo studio – spiega Domenico Sturabotti, direttore della Fondazione Symbola – continua la nostra indagine nel campo della qualità. A quanto dimostrano i risultati della ricerca, esiste una polarizzaz­ione del mercato tra chi investe in fattori di coesione e chi non lo fa. E i primi, ossia le aziende che si pensano aperte rispetto al contesto nel quale operano, ottengono risultati migliori».

Se la coesione è nel territorio

Non di sole imprese tratta lo studio di Symbola e Unioncamer­e, ma anche di territori coesivi, cioè caratteriz­zati dalla presenza di legami e relazioni solide e profonde tra le loro diverse componenti: comunità, imprese, istituzion­i, soggetti più deboli. Dove tutti questi rapporti contribuis­cono a migliorare e rafforzare la qualità della vita. Ebbene le regioni più coesive, quelle con una maggiore attenzione al lavoro e alla legalità, con maggiore presenza del non profit e maggiore livello di relazional­ità delle imprese, sono in ordine Trentino Alto Adige (137,4 sulla media dell’Italia uguale a 100), Lombardia (114,5), Veneto (113,5), Toscana (109,4), Friuli Venezia Giulia (108,5). Territori in cui la coesione sociale è superiore al livello medio nazionale. Evidenteme­nte non sarà per caso che le regioni più coesive siano anche quelle in cui la ricchezza misurata in Pil procapite e reddito disponibil­e delle famiglie è maggiore e meglio distribuit­a. Le imprese che vivono in questi territori, secondo lo studio, hanno capito che la coesione conviene.

Eccellenze della coesione

IL TESSUTO ECONOMICO

LO STUDIO Le imprese «coesive» d’Italia hanno registrato nel 2015 aumenti del fatturato nel 47% dei casi, le imprese «non coesive» si sono fermate al 38%

LE ASSUNZIONI Secondo il rapporto Symbola, il 10% delle imprese «coesive» ha dichiarato assunzioni nel 2015, contro il 6% delle altre

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