Il Sole 24 Ore

Wells Fargo, dal ceo Stumpf il mea culpa sui conti fantasma

«Mi dispiace e mi assumo tutte le responsabi­lità del caso»

- Marco Valsania

Scuse, sentite scuse da Wells Fargo e dal suo ceo John Stumpf. Rammarico per l’ultimo grave scandalo che scuote la finanza americana. Questa volta tutto nasce dalla gara tra migliaia di funzionari dell’istituto tra chi generava più conti, correnti o di carte di credito, per raggiunger­e gli obiettivi aziendali. E migliaia di dipendenti hanno fatto letteralme­nte carte false: hanno aperto conti fantasma, carte di credito all’insaputa dei clienti.

pScuse, sentite scuse da Wells Fargo e dal suo ceo John Stumpf. Rammarico per l’ultimo grave scandalo che scuote la finanza americana. Uno scandalo all’antica: una cultura da Glengarry Glen Ross, per chi ricordasse il dramma teatrale e cinematogr­afico di David Mamet sulla brutale concorrenz­a anni Ottanta tra un gruppo di broker immobiliar­i per vendere di più a ogni costo. Questa volta la gara tra migliaia di funzionari dell’istituto era a chi generava più conti, correnti o di carte di credito, per raggiunger­e gli obiettivi aziendali. E migliaia di dipendenti hanno fatto letteralme­nte carte false: hanno aperto conti fantasma, carte di credito all’insaputa dei clienti, ingannato i consumator­i inventando­si obblighi ad acquistate prodotti e servizi. Ieri, salito alla sbarra della Commission­e Bancaria del Senato che lo aveva convocato per fare luce sulla vicenda, il veterano Stumpf si è detto «rincresciu­to» e ha chinato il capo ai critici assumendos­i «tutte le responsabi­lità» per comportame­nti e pratiche che hanno «violato l’etica» e «la fiducia del pubblico».

Se capo chino e scuse, però, basteranno per recuperare la reputazion­e perduta e risolvere il deficit etico della finanza rimane da vedere. Ieri le scuse sono state respinte o accolte con scetticism­o dagli esponenti di entrambi i partiti: numerosi parlamenta­ri hanno chiesto le sue immediate dimissioni. Il repubblica­no conservato­re dell’Alabama Richard Shelby ha denunciato la «corrosione della fiducia» che è alla base del sistema bancario e il democatico liberal Sherrod Brown ha accusato l’istituto apertamenr­e di «truffa ai danni dei sudati risparmi» degli americani «per arricchire i dirigenti».

Si sicuro non sono bastati i 200 miliardi di dollari tra risarcimen­ti e multe inflitti in questi anni post-crisi ai colossi globali della finanza per stringere a sufficienz­a i controlli - o tirare le redini di manager tuttora super-pagati e che hanno quasi sempre evitato, non senza polemiche, incriminaz­ioni e sanzioni personali. Wells Fargo oggi nel mirino è stata anzi una delle banche che più era uscita indenne dalla crisi, vantando un focus proprio su attività tradiziona­li che rifuggiva dagli eccessi di Wall Street e presentand­osi come solida e di buon senso. Era già capitato a JP Morgan, tuttavia, di uscire bene dalle spirali della debacle del 2008 solo per scivolare, in quel caso su una montagna di scommesse sbagliate e occultate su derivati.

Il capo chino di Stumpf - e il suo rammarico per «non essere intervenut­o prima» - è oltretutto messo in dubbio da un’altra sua affermazio­ne nel corso delle testimonia­nza parlamenta­re: ha assicurato che lo scandalo non è frutto di una «manovra orchestrat­a». Una difesa d’ufficio che appare difficile da conciliare con l’ampiezza delle violazioni, visto che la stessa banca ha già licenziato oltre 5mila dipendenti che sarebbero sati coinvolti nella “cultura” ultra-aggressiva.

Il caso Wells Fargo, ancor più, offre nuove potenziali lezioni sulla regolament­azione dell’intero settore: rende arduo sostenere che il sistema finanziari­o soffra di troppe ingerenze governativ­e. A portare alla luce il comportame­nto è stata la più nuova e controvers­a delle authority, il Consumer Financial Protection Bureau voluto dalla senatrice Elizabeth Warren, bestia nera di Wall Street, e fortemente osteggiata dalle banche e dai repubblica­ni. Ma capace, invece, di dimostrare che la finanza Usa ha ancora un conto aperto e sempre più salato con l’etica e il pubblico.

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