Il giornalista può usare il sarcasmo
pSarcasmo e ironia in articoli di stampa quasi senza limiti. Anche quando singole espressioni come «stupido» e «lento a capire» sono in sé offensive, perché i giornalisti hanno diritto ad usare tecniche stilistiche, su questioni di interesse pubblico, con sarcasmo e ironia anche eccessivi. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 5 luglio, con la quale ha condannato la Polonia per violazione dell’articolo 10 della Convenzione che assicura il diritto alla libertà di espressione, dando ragione, su tutta la linea, a un giornalista (caso Ziembinski, 1799/07).
A rivolgersi alla Corte era stato un cronista polacco che aveva pubblicato un articolo sul quotidiano del quale era anche proprietario, i n cui criticava aspramente un progetto dell’amministrazione comunale che, in pratica, prevedeva il via libera a un allevamento di quaglie ritenendo potesse essere utile a fronteggiare la disoccupazione nella zona. Malgrado non avesse citato nominativamente il sindaco e due funzionari pubblici, il reporter era stato denunciato e condannato per diffamazione. Di qui il ricorso alla Corte europea che, ancora una volta, ha rafforzato la libertà di espressione dei giornalisti rispetto ad altri diritti in gioco come quello alla reputazione. E questo soprattutto quando oggetto degli articoli sono politici e dipendenti pubblici.
La Corte europea critica l’operato dei giudici nazionali che hanno deciso la condanna del giornalista valutando le singole espressioni e non il contesto generale. L’articolo, molto critico nei confronti di alcuni amministratori pubblici – osservano i giudici di Strasburgo – conteneva termini in sé forti sottolineando che chi aveva effettuato la scelta di dare il via a un allevamento di quaglie era «stupido», «lento a capire», «smorto». Detto questo, però, i giudici nazionali hanno sbagliato a considerare le espressioni in sé e non nel contesto dell’articolo, nel quale il giornalista aveva fatto una scelta stilistica precisa, ugualmente protetta dall’articolo 10 della Convenzione. La valutazione delle autorità nazionali – scrive la Corte – non può essere staccata dal contesto e senza considerare che il giornalista ha diritto di scegliere una comunicazione ironica e sarcastica quando riporta alla collettività questioni di interesse generale. «Un livello di esagerazione – osserva la Corte – e di provocazione è permesso al giornalista» e questo anche quando arriva a un certo grado di intemperanza e a taluni eccessi.
Senza dimenticare che i destinatari non erano indicati nominativamente (anche se identificabili) e, soprattutto, erano personaggi pubblici. L'articolo, infatti, prendeva di mira il sindaco che, in quanto politico, è maggiormente esposto a critiche rispetto a un privato cittadino, con un obbligo di tolleranza maggiore. Con la conseguenza che, nei suoi confronti, le autorità nazionali hanno margini di intervento molto ristretti laddove intendano limitare la libertà di espressione. Tanto più che è compito del giornalista animare e suscitare un dibattito su questioni di interesse generale.
Inevitabile, quindi, la bocciatura dell’operato dei giudici nazionali, che si sono limitati a decidere nel senso della diffamazione senza considerare l’articolo nel suo complesso. Con la conseguenza che la Polonia dovrà versare al giornalista oltre 4mila euro tra danni patrimoniali e morali.
LA VALUTAZIONE L’articolo va considerato nel suo insieme, per cui frasi che singolarmente sarebbero diffamatorie diventano consentite