Effetto dollaro sui metalli Il rame scivola ai minimi da un mese e mezzo
Zinco e nickel restano i favoriti dagli analisti
Avvio di settimana in calo per il London Metal Exchange, con il rame in particolare che è sceso fino a 4.735 dollari per tonnellata (base tre mesi), il minimo dall’11 luglio. A influenzare i ribassi è stato, almeno inizialmente, il rafforzamento del dollaro in seguito alle dichiarazioni di domenica del vicepresidente della Fed Stanley Fischer sulla possibilità di un rialzo dei tassi di interesse a breve.
A stimolare le vendite sul rame hanno contribuito anche un forte aumento delle scorte Lme (+18.750 tonn, a 229.735) e le statistiche sulle esportazioni cinesi, più che quintuplicate in luglio rispetto a un anno prima (a 75.022 tonn).
Il mercato dei metalli non ferrosi resta comunque ancora caratterizzato da scambi stagionalmente scarsi. Secondo alcuni analisti, inoltre, la situazione fondamentale generale ultimamente si sarebbe stabilizzata, tanto che Moody’s si è espressa favorevolmente sulle prospettive dell’industria globale dei metalli base portando le attese da negative a stabili. Secondo l’agenzia di rating i prezzi di alluminio, rame, nickel e zinco non dovrebbero ulteriormente deteriorarsi sul breve termine.
Nonostante i prezzi al Lme, dopo tre anni di perdite, siano cresciuti in media quasi del 10% quest’anno, tutti i metalli del listino a eccezione dello zinco dovrebbero, a detta di Moody’s, rimanere in eccedenza, mantenendo alte le giacenze dei magazzini ufficiali delle borse. E secondo Carol Cowan, senior vice president dell’agenzia, la Cina continuerebbe a guidare l’opinione degli investitori verso i metalli base, perché le misure di stimolo governative comprendenti le facilitazioni di credito, la riduzione degli obblighi di riserva e l’aumento della spesa in infrastrutture sono servite a compensare la decelerazione del Pil.
Il World Bureau of Metal Statistics in effetti ha appena comunicato che nel primo semestre dell’anno tutti i metalli quotati al Lme hanno mostrato un deficit d’offerta, con quello dell’alluminio salito a 479mila tonnellate dalle 331 mila di tutto il 2015. La minor produzione di quest’ultimo non è tuttavia ancora sufficiente a sostenere prolungati rialzi di prezzo dopo il recente massimo dell’anno a 1.709 $ (base tre mesi), dovuto più che altro al temporaneo indebolimento del dollaro. Il permanere di un’alta disponibilità di metallo raffinato continua infatti a costituire un freno ad aumenti di prezzo.
Il mercato è più rialzista su altri metalli. Ji Xiangfei, analista della Goutai Junan Futures di Shanghai, ritiene ad esempio che - mentre il rame dovrebbe rimanere fondamentalmente debole per presenza di alte giacenze - zinco e nickel hanno maggiori potenzialità di apprezzarsi.
In realtà su questi due metalli si susseguono i pareri favorevoli. Yang Zhiqiang, presidente del Jinchuan Group - il maggior produttore cinese di nickel raffinato - afferma tra gli altri che la fase rialzista del nickel è appena all’inizio, per via di una tensione sull’offerta globale e un aumento della domanda da parte dell’industria dell’acciaio inox in Cina, che potrebbero generare una situazione di deficit fino al 2020, con una carenza quest’anno di 65mila tonnellate. Oltre il 65% delle raffinerie mondiali di nickel avrebbero, secondo Yang, costi superiori a 10mila $/tonnellata.
Rialzisti in genere anche i pareri sullo zinco, su cui tuttavia pesa il timore che i recenti rialzi portino alla riattivazione degli impianti minerari fermati.