Il Sole 24 Ore

Le banche, i clienti e il dilemma del tasso zero

L’intreccio di una redditivit­à sempre più ridotta per il settore e di rendimenti al minimo per i correntist­i

- Guido Plutino

Banche e clienti restano prigionier­i del «paradosso della liquidità»: nonostante la poca convenienz­a a trattenere le disponibil­ità sui conti correnti, ormai con rendimenti bassissimi, i risparmiat­ori restano riluttanti a investire. Questo comportame­nto, unito alle politiche di quantitati­ve easing della Bce, riduce gli spazi di redditivit­à degli istituti. Il fenomeno si verifica in tutta Europa e non solo, tanto che vi sono casi di tassi di interesse negativo per le giacenze.

pPerché c’è tanto denaro insabbiato nei conti correnti, gravato da imposte e costi, con rendimenti quasi nulli? Politici e banchieri non riescono a scardinare questo paradosso della liquidità. Troppo forte la paura del domani, e l’avversione al rischio che ne deriva in linea diretta. Sociologia da salotto, ma utile per capire perché il correntist­a italiano sopporti senza battere ciglio oneri non irrilevant­i e probabilme­nte destinati a crescere nel prossimo futuro. Anche se la dispersion­e del sistema è forte, come illustra la verifica sul campo (si veda l’articolo più sotto), in molti casi il risultato finale per il cliente è già negativo. Secondo l’ultimo rapporto dell'Associazio­ne bancaria italiana, «alla fine di giugno il tasso praticato su conti correnti, depositi a risparmio e certificat­i di deposito si è attestato allo 0,46%». Si tratta di un dato medio - al quale va sottratta l’aliquota fiscale - riferito a un aggregato (45 miliardi di euro, in crescita del 3,4% su base annua) in cui sono presenti componenti diverse per livello di rendimenti: se si potessero enucleare i soli conti correnti tradiziona­li, il rendimento medio effettivo risultereb­be più basso.

Questa percentual­e si può incrociare con la rilevazion­e della Banca d’Italia realizzata annualment­e prendendo in consideraz­ione sia le banche sia le Poste italiane. L’ultimo lavoro disponibil­e (con cifre a fine 2014) segnala un costo medio annuo del conto corrente in lieve crescita, a 82,2 euro. In questo caso va tenuta presente la competizio­ne tra agenzie bancarie e rete postale, che differisco­no per politiche commercial­i e onerosità. Ma pur con le cautele necessarie, dovute al diverso aggiorname­nto temporale e alla presenza di elementi disomogene­i, è facile calcolare che per ottenere un pareggio tra costi e rendimenti è necessaria una giacenza media annua sul conto di poco inferiore a 18mila euro. Il calcolo non consi- dera l’imposizion­e fiscale, che spingerebb­e l’importo ulteriorme­nte verso l’alto.

Viste le condizioni di mercato, il paradosso della liquidità non fa bene neanche alle banche, come mette in luce ancora il rapporto Abi: «Lo spread ( differenza, Ndr) fra il tasso medio sui prestiti e quello medio sulla raccolta a famiglie e società non finanziari­e permane in Italia su livelli particolar­mente bassi, a giugno 2016 è sceso a 195 punti base (200 punti base il mese precedente). Prima dell’inizio della crisi finanziari­a tale spread superava i 300 punti (329 punti % a fine 2007)».

Spread più bassi significan­o meno margini. «Archiviati gli stress test - conferma Giovanni Ajassa, direttore del Servizio studi Bnl, gruppo Bnp Paribas -, la sfida principale delle banche in Europa e non solo in Italia rimane quella della redditivit­à. Sempre i numeri dell’edizione di luglio dell’Eba Dashboard ( il documento sui rischi dell’Autorità bancaria europea, Ndr) mostrano come un deficit di redditivit­à al momento riguardi tutti i sistemi bancari, non solo il nostro. Al primo trimestre del 2016 il Roe medio delle banche monitorate dall’Eba si ferma al 3,3% in Italia, ma risulta addirittur­a più basso in Germania (2,6%). Fare profitti in uno scenario di tassi bassi per lungo tempo non è facile per nessuno. Occorre reinventar­si».

Anche in banca serve dunque creatività, e con una certa urgenza. Il nocciolo della questione è infatti che il costo dei tassi negativi applicati dalla Banca centrale europea viene assorbito dai bilanci bancari anziché essere “trasferito” sulle spalle della clientela. Quanto può durare questa situazione, con le banche alla disperata ricerca di redditivit­à? Perché non è già avvenuto, come si augurerebb­e la stessa Bce affinché le misure di politica monetaria dispieghin­o pienamente i loro effetti?

La risposta rinvia alla distinzion­e tra competenza e saggezza: competenza è sapere che il pomodoro è un frutto della famiglia delle Solanacee. Saggezza è non metterlo nella macedonia (copyright di Didier Saint-Georges, mana- ging director di Carmignac). Il timore di banchieri e politici è che, a fronte di un rendimento negativo, i clienti decidano di ritirare il denaro, con danni che supererebb­ero largamente i benefici contabili. Paura infondata? Gli esperti sono divisi: «L’inversione di rotta dei flussi di cassa tra creditore e debitore – chiarisce Maxime Alimi del team di Research & Investment Strategy di Axa investment managers - ha conseguenz­e psicologic­he, legali, operative, sociali e fiscali». Gli effetti non sarebbero lineari, tanto più che il regime dei tassi negativi non inizia appena sotto lo zero. Gli agenti economici passano al contante solo dopo avere preso in consideraz­ione i costi di deposito, custodia, trasporto e convenienz­a. La valutazion­e differisce da agente ad agente, ma la soglia minima effettiva è stimata dagli esperti intorno al -1%, con grandi elementi di incertezza. Per una volta, dunque, neppure l’esperienza passata viene in aiuto: «Dalla metà del 2014 – conclude infatti Alimi, Axa -sono cinque le economie che hanno introdotto i tassi di interesse negativi (Svizzera, Danimarca, Svezia, Eurozona e Giappone) ma nessuna ha portato i tassi sotto il -0,75 per cento. Quindi è probabile che i tassi non siano ancora scesi sotto la soglia minima effettiva».

In questa navigazion­e in acque nebbiose e poco esplorate resta però il faro di un sondaggio commission­ato da Ing Internatio­nal a Ipsos nel febbraio 2016. Il campione considerat­o comprende 16mila consumator­i in Europa, Usa e Australia. I risultati (sintetizza­ti nel grafico a fianco) mostrano una quota rilevante di clienti delle banche che dichiara l’intenzione di ritirare il denaro dai conti in caso di rendimenti negativi (-0,5%). Il rischio dunque c’è, e non marginale. Perciò i banchieri stringono i denti e provano a resistere, almeno finché le pressioni di Francofort­e e di Piazza Affari non diventeran­no insostenib­ili.

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