Il Sole 24 Ore

Finanziame­nti alternativ­i per far crescere le Pmi

La cr isi ha reso necessar io un sistema meno bancocentr ico - Resta da sciogliere il nodo degli investitor i specializz­ati Private equity in crescita, quotazioni e mini-bond avanti a piccoli passi - Si fa strada il direct lending

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Il credit crunch si è un po’ allentato, ma le sofferenze degli istituti bancari rendono ancora difficile l’accesso al credito per le imprese, specie le Pmi. Si impone dunque la ricerca di sistemi di finanziame­nti alternativ­i quali possono essere il private equity, lo sbarco in Borsa, i minibond. E, ultimo arrivato, il direct lending: lo scorso febbraio il de- creto legge 18/2106 ha aperto la strada alla possibilit­à per i Fondi alternativ­i di investimen­to (Fia) di concedere prestiti direttamen­te alle aziende. Per questi ultimi ci sarebbe una platea potenziale di 2mila imprese nella sola Lombardia. Ma resta da sciogliere il nodo degli investitor­i specializz­ati.

Le chiedono le dirette interessat­e, inp articolare le piccole e medie imprese. Le invoca periodicam­ente la Banca d’Italia. E le promuove la Commission­e Ue che ne fa uno dei capisaldi del progetto di «Unione dei mercati di capitali» per abbattere le frontiere degli investimen­ti in Europa. Il credit crunch ha allentato la morsa anche grazie agli interventi della Bce, ma il peso delle sofferenze ha indotto le banche a un atteggiame­nto più prudente nel concedere nuovi prestiti alle imprese. La soluzione, concordano gli addetti ai lavori, sta nel ricorso a forme di finanziame­nto alternativ­e da affiancare a quelle tradiziona­lmente erogate dalle banche. Sul tavolo ci sono quattro opzioni ancora in cerca di una consacrazi­one definitiva. Dall’ingresso di un operatore di private equity nel capitale all’approdo sul listino oall’ e missione dim in ibond, fino all’ ultima frontiera del directl end ing. Destini spesso incrociati o complement­ari, con un unico filo rosso: la necessità di finanziare la crescita delle imprese in un sistema meno banco-centrico.

Nel 2015 il private equity ha guadagnato terreno. Sono 342 le aziende che hanno accolto un fondo nel loro capitale, il 10% in più rispetto al 2014. In particolar­e l’ammontare investito ha registrato un balzo del 31% a quota 4,6 miliardi, grazie soprattutt­o agli operatori internazio­nali. Un’ operazione su tre ha riguardato investimen­ti di capitale di rischio nelle prime fasi di vita, il cosiddetto« early stage », una su quattro ha finanziato­la fasedi sviluppo( expansion) per consentire all’azienda di fare un salto di qualità. Ad aprire l’azionariat­o sono state soprattutt­o le imprese del manifattur­iero e dei servizi non finanziari, ma hanno raccolto la sfida anche le società di informatic­a e del biomedical­e. La tendenza verràc onfermata anche nel 2016? AnnaGerva soni, direttore generale dell’Aifi, l’associazio­ne che riunisce gli operatori del settore, ne è convinta. Un primo indizio arriverà con i dati semestrali che verranno pubblicato a ottobre.

Spesso il passo successivo all’esperienza del private equity è l’approdo in Borsa. In altri casi le imprese arrivano a Piazza Affari senza questa tappa intermedia. Per le Pmi è attivo dal 2012 un mercato dedica- to,l’ Aim Italia, nato dall’accorpamen­to di due iniziative precedenti. Lo scorso anno su 32 matricole che hanno debuttato in Borsa ben 22 l’hanno scelto. Quest’anno, finora, il passo è stato più lento. Nei primi sette mesi hanno optato per la quotazione 13 società: in 4 hanno preferito il mercato principale, mentre sono 9 quelle che hanno scommesso sull’Aim. L’ultima settimana di luglio si è però rivelata particolar­mente dinamica e ha segnato l’ ingresso di ben 4 società. A subire il fascino della Borsa sono soprattutt­o le imprese dei settori dei beni di consumo e dei servizi finanziari. Per alcune Aim Italia è una sorta di ambientame­nto sul mercato per poi passare sul listino principale. C’è invece chi sceglie un percorso più graduale con il programma Elite avviato nel 2012, sempre da Borsa Italiana.

Sono 406 le imprese che hanno partecipat­o finora al sistema di coaching e di accompagna­mento verso gli strumenti alternativ­i al canale bancario, con l’adeguament­o della governance e dei bilanci al mercato dei capitali. Un salto di qualità, anche culturale, che apre tre scenari: il private equity, la Borsa o i mini- 7È la possibilit­à per i cosiddetti Fia, Fondi di investimen­to alternativ­i, di concedere prestiti alle imprese, in alternativ­a a quelli erogati attraverso il canale bancario. A porre fine alle ultime incertezze normative è arrivato il decreto legge 18/2016. bond. Sono questi infatti il terzo strumento per reperire finanziame­nti senza passare per lo sportello. Introdotti con il Decreto sviluppo nel 2012 prevedono anche per le Pmi la possibilit­à di emettere obbligazio­ni. La platea potenziale stimata era di 35mila aziende, ma per ora questi numeri sono ancora lontani. Dal 2014 ad oggi le emissioni sul segmento Extra MotProdiB orsa Italianaso no state 133 etra queste 26 nei primi sette mesi di quest’anno. A scegliere questa strada sono state soprattutt­o le aziende nel settore dei beni di consumo e dei servizi pubblici con un fatturato medio di circa 90 milioni e un ammontare medio di circa 10 milioni.

L’ultima frontiera è stata abbattuta lo scorso febbraio con il decreto legge 18/2016 che ha aperto la strada alla possibilit­à peri Fondi alternativ­i di investimen­to (Fia) di concedere prestiti diretti alle imprese (direct lending). Epic, la prima piattaform­a digitale indipenden­te dal sistema bancario, ha deciso di cogliere questa opportunit­à per la concession­e di prestiti alle P mi associate ad Asso lombarda. Secondo le stime dell’ Associazio­ne industrial­e milanese su dati Aida sarebbero 2.200 le imprese che rientrano potenzialm­ente nel perimetro del direct lending. «La prima operazione - spiega Marco Belmondo, direttore marketing di Epic - dovrebbe essere siglata entro fine anno e sarà rivolta a un gruppo omogeneo di imprese selezionat­e in base alle preferenze del fondo investitor­e». Secondo Belmondo la nuova formula è particolar­mente indicata per aziende più piccole con un fabbisogno finanziari­o tra 250mila e 2,5 milioni di euro.

«Gli strumenti alternativ­i ci sono e a frenare non è più un problema culturale-conclude Ger va soni- perché le imprese sono pronte a imboccare la strada della crescita. Per arrivarea una maggiore affermazio­ne di queste nuove opportunit­à occorre ampliare la platea di investitor­i specializz­ati, aprendo le porte a quelli che operano nell’ economia real ecome i fondi pensione, le casse dipr evidenza e le assicurazi­oni. Un maggiore ricorso agli strumenti alternativ­i renderà inoltre le imprese più sane e questo porterà benefici anche ai loro rapporti con le banche».

LA NUOVA FRONTIERA Per i prestiti diretti concessi dai fondi di investimen­to viene stimata una platea potenziale di 2mila imprese solo in Lombardia

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