Fbi contro Cupertino
L’Fbi ha vinto la sua battaglia contro la Apple. L’Agenzia federale statunitense è infatti riuscita a sbloccare l’iPhone di Syed Rizwan Farook, uno dei due attentatori che il 2 dicembre scorso uccisero 14 persone a San Bernardino, in California, venendo poi uccisi dalla polizia.
Il dipartimento di Giustizia ha così chiuso il caso legale contro la Apple, produttrice dello smartphone, che in nome della privacy si era rifiutata di obbedire all’ordine di un giudice in base a cui avrebbe dovuto fornire un software capace di abbassare le difese del cellulare, permettendo all’Fbi di violarlo. Sembra che lo sblocco del dispositivo sia stato reso possibile dall’aiuto di un misterioso soggetto terzo, rimasto ignoto. Ora la speranza è trovare informazioni che rivelino potenziali legami di Farook con gruppi terroristi organizzati. Farook sarebbe stata l’israeliana Cellebrite, leader mondiale nella gestione dei dati. Una cosa è certa: gli analisti hi-tech hanno fatto sapere che non è possibile definire risolto il dilemma. Le misure di crittazione sono in continua evoluzione, e non è affatto detto che la strategia identificata e utilizzata per aggirare questa volta il blocco sia ripetibile in modelli che diventano sempre più avanzati.
La vera soluzione auspicata da molti è così quella di un comune sforzo, tra pubblico e privato, per discutere e definire nuovi confini per la sicurezza e la privacy nell’era digitale. È stata proposta una commissione congiunta e un coinvolgimento del Congresso per le eventuali necessità legislative. Questa è tuttavia una strada che richiederà tempo, oltre che una intensa diplomazia al posto di scontri aperti in tribunale.