Il Sole 24 Ore

Pubblicità, Antitrust batte Cnf

Il Consiglio di Stato ha respinto il r icorso dell’Ordine sulla sanzione da un milione Il Tar aveva ridotto l’importo - Sotto esame «promozioni» e minimi tariffari

- Giovanni Negri

pUn punto (pesante) messo a segno dall’Antitrust nel conflitto con il Cnf. Il Consiglio di Stato, chiudendo la partita sul piano amministra­tivo, ha infatti confermato la condanna a un milione di euro inflitta nell’ottobre 2014 al Consiglio nazionale forense per l'adozione di due decisioni che, secondo l’impianto “accusatori­o”, avevano l’effetto di comprimere l’autonomia degli avvocati, da una parte limitando l’utilizzo di un canale per la diffusione di informazio­ni sulla propria attività profession­ale, dall’altra reintroduc­endo vincoli sui minimi tariffari.

Il Consiglio di Stato con sentenza del 22 marzo della Sesta sezione ha respinto tutti i motivi di ricorso avanzati dal Cnf contro la pronuncia del Tar Lazio che nel luglio 2015 aveva accolto, ma solo parzialmen­te, l’impugnazio­ne del Cnf stesso rispetto alla sanzione, non eliminando la sanzione di un milione di euro, ma invitando l’Autorità garante della concorrenz­a a ridetermin­are l’importo. Accolto invece l’unico motivo di impu- gnazione proposto dall’Antitrust.

Nel merito la sentenza non individua elementi di criticità nella presentazi­one dell’attività profession­ale dell’avvocato attraverso il circuito «Amica Card» (piattaform­a a pagamento sia da parte degli avvocati sia da parte dei clienti). Per il Cnf, il sistema degli sconti riservato solo agli utenti iscritti dava luogo a un sistema di procacciam­ento della clientela vietato dal codice deontologi­co. Nei motivi di ricorso il Cnf aveva messo in evidenza come, in realtà, si tratterebb­e di una pubblicità in contrasto con i principi di legge, visto che non fornirebbe informazio­ni sulla struttura, specializz­azione e capacità dello studio legale, quanto piuttosto su di un generico sconto, privo oltretutto di riferiment­i quanto a basi di calcolo e perimetro delle prestazion­i interessat­e.

Per il Consiglio di Stato però l’accento va messo su quella norma (articolo 3, comma 5 del decreto legge n. 138 del 2011) che impone agli ordini profession­ali di garantire l’esercizio dell’attività nel rispetto dei principi della libera concorrenz­a, la presenza diffusa dei profession­isti su tutto il territorio nazionale, la differenzi­azione e pluralità di offerta per consentire effettive possibiltà di scelta ai cittadini. Il caso di «Amica Card», osserva il Consiglio di Stato, è quello di una modalità di pubblicità protetta proprio dalla disposizio­ne del 2011.

Infatti, «la circostanz­a che l’accesso sia assicurato a tutti gli utenti ovvero, come ritenuto dall'appellante, solo agli affiliati al circuito, non è di per sé, in assenza della dimostrazi­one di elementi qualifican­ti incompatib­ili con la deontologi­a e con il decoro della profession­e, idonea ad assegnare valenza illecita all’operazione. Allo stesso modo non rilevante, nella prospettiv­a in esame, è il rilievo difensivo relativo alla mancata indicazion­e dello sconto e dell'attività svolta. Né risulta che «Amica Card» svolga un’attività di intermedia­zione dai connotati diversi da quelli sopra esposti».

Netta la conclusion­e per cui «in definitiva, si è in presenza di una nuova modalità di pubblicità dell’attività profession­ale che, per quanto si discosti, in alcune sue

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