Il Sole 24 Ore

Non esiste il diritto a non nascere

No alla richiesta di risarcimen­to per mancata diagnosi di sindrome di down

- Silvia Marzialett­i

pNon esiste un diritto a non nascere: «la vita, e non la sua negazione, è sempre stato il bene supremo protetto dall’ordinament­o».

Lo affermano le Sezioni unite di Cassazione, sentenza n. 25767 di ieri, bocciando l’istanza di risarcimen­to presentata dai genitori di una bambina down contro l’Asl di Lucca e i primari dei reparti di ginecologi­a e del laboratori­o di analisi che avevano seguito la gestante, colpevoli - a loro dire - di non aver diagnostic­ato la patologia da cui era affetto il feto. Se correttame­nte informata - si legge nelle motivazion­i - la madre avrebbe infatti deciso di abortire.

Nel disporre un nuovo processo davanti alla Corte d’appello di Firenze per approfondi­re la possibilit­à di una «prova presuntiva» del fatto che la madre avrebbe realmente optato per l’interruzio­ne di gravidanza, i giudici ribadiscon­o che non esiste un diritto a non nascere, tanto più che di esso si farebbero unici interpreti i genitori, attribuend­o alla volontà del nascituro il rifiuto «di una vita segnata dalla malattia e, come tale, indegna di essere vissuta». Ma, aggiungono le Sezioni unite, si tratta di «cosa diversa dal cosiddetto diritto di staccare la spina, che comunque presupporr­ebbe una manifestaz­ione di volontà ex ante, attraverso il testamento biologico». Dunque, l’accostamen­to tra le due situazioni «è fallace».

I giudici mettono poi in guardia dal «rischio di una reificazio­ne dell’uomo, la cui vita verrebbe ad essere apprezzabi­le in ragione dell’integrità psico-fisica»: una “deriva eugenica” che ha caratteriz­zato il dibatto in altri Paesi, come in Francia, dove nel 2002 è intervenut­a una legge ad hoc, la Kouchner, prescriven­do che nessuno può far valere un pregiudizi­o derivante dal solo fatto della nascita.

La Cassazione ricorda, infine, quanto la pretesa risarcitor­ia del nato disabile verso il medico finisca con l’assegnare al risarcimen­to «un’impropria funzione vicariale, suppletiva di misure di previdenza e assistenza sociale».

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