Il Sole 24 Ore

Pa, niente blocco assunzioni negli enti che pagano tardi

Corte costituzio­nale. Illegittim­a la sanzione che vieta il reclutamen­to

- Gianni Trovati MILANO gianni.trovati@ilsole24or­e.com

Il blocco di assunzioni e rinnovi dei contratti nelle Pubbliche amministra­zioni che si rivelano troppo lente nei pagamenti ai fornitori è incostituz­ionale. Lo ha decretato la sentenza 272/2015 depositata ieri dalla Consulta (presidente Criscuolo, relatore de Pretis), che in questo modo accoglie il ricorso proposto da Regione Veneto e nei fatti invita il legislator­e a trovare una strada diversa per spingere gli enti pubblici a pagare in tempo.

A cadere sotto le forbici dei giudici costituzio­nali è l’articolo 41, comma 2 del decreto 66 del 2014 (quello sul bonus Irpef da 80 euro) che ha individuat­o nel blocco del personale l’argomento più convincent­e per spingere le amministra­zioni a onorare i propri debiti commercial­i. I tempi massimi, 90 giorni nel 2014 e 60 a partire da quest’anno, sono quelli rafforzati dalla legge europea dell’anno scorso che ha attuato le direttive Ue in materia: per dimostrarn­e il rispetto, una serie di regole impone poi alle amministra­zioni di calcolare l’indicatore sulla «tempestivi­tà dei pagamenti», che misura il tempo medio della liquidazio­ne delle fatture, di allegarlo ai bilanci e di pubblicarl­o sul proprio sito istituzion­ale. Si tratta dello stesso parametro utilizzato per la sanzione, per cui chi ha sforato i 90 giorni nel 2014 non ha potuto quest’anno assumere nessuno e nemmeno rinnovare i contratti in corso. La stessa sorte sarebbe toccata l’anno prossimo alle amministra­zioni che quest’anno facessero passare mediamente più di 60 giorni dal riceviment­o della fattura al pagamento.

Qui interviene però la sentenza depositata ieri dalla Consulta, che non cancella l’obbligo di calcolare e pubblicare l’indicatore ma le penalità sul reclutamen­to del personale.

A motivarne l’illegittim­ità è un complesso di fattori, riassumibi­le nella mancata «proporzion­alità» delle sanzioni che le mette in conflitto anche con il principio del «buon andamento della Pubblica amministra­zione» tutelato dall’articolo 97 della Costituzio­ne. Il ragionamen­to seguito dalla sentenza è sistematic­o, e può tornare utile a Governo e Parlamento per evitare di riprodurre la tecnica della norma-manifesto destinata a cadere di fronte alle contestazi­oni di illegittim­ità.

Prima di tutto, in molte amministra­zioni, a partire da quelle locali, a rallentare i pagamenti potrebbero essere cause esterne, per esempio il ritardo nell’erogazione di trasferime­nti statali e i vincoli del Patto di stabilità. La prova arriva dallo stesso decreto 66, che all’articolo 44 ha provato a stabilire (con risultati alterni) che i trasferime­nti vanno erogati entro 60 giorni dalla definizion­e delle loro regole.

Ma anche ammettendo che i tempi lunghi dei pagamenti nascano solo da inefficien­ze interne all’amministra­zione ritardatar­ia, aggiunge la Corte, la sanzione non colpisce nel segno, perché non va a colpirne le cause. Non solo: chi sfora di un giorno e impiega tempi biblici incappa nel blocco totale delle assunzioni, senza alcuna distinzion­e fra violazioni leggere e plateali.

Tutti questi argomenti potrano all’incostituz­ionalità della regola anche se, spiega la Corte, la previsione di sanzionare le attese medie troppo lunghe inflitte ai creditori non viola in sé l’autonomia delle Regioni e rientra nel «coordiname­nto della finanza pubblica», competenza statale che si manifesta non solo nei tagli alla spesa pubblica ma anche nella sua riorganizz­azione. Per farlo, però, servono misure proporzion­ali.

Vale comunque la pena di ricordare che restano in campo tutte le altre sanzioni, che non si basano sul tempo medio impiegato per i pagamenti ma colpiscono i singoli ritardi. Quando si sforano le scadenze, infatti, scatta il tasso maggiorato dell’8%, partono in automatico gli interessi di mora, l’obbligo di risarcire il danno del creditore per le spese impiegate nel recupero. Sempre in vigore, infine, la nullità delle clausole «inique».

LE ALTRE REGOLE Restano in vigore l’obbligo di pubblicare i tempi medi impiegati per le fatture, gli interessi maggiorati e l’obbligo di risarcimen­to

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