Il Sole 24 Ore

L’impegno dell’Italia e il rapporto con gli alleati

- Di Alberto Negri

Fare la leva negli anni'70 era istruttivo: dopo avere piantatola tenda sul Tagliament­o vicino a un modesto cingolatoM -113, al secondo giorno di esercitazi­one i soldati erano regolarmen­te dichiarati morti senza avere visto il nemico, il Patto di Varsavia. Non occorreva uno stratega per capire quale ruolo avevamo nella Nato. Il libretto di servizio dei nostri militari, ormai dei profession­isti, oggi è un altro. Forse non avvisteran­no mai all’orizzonte la bandiera nera dell’Isis ma nel discutere cosa può fare l’Italia per combattere il Califfato, sottolinea un recente studio dello Iai, sarebbe utile ricordare agli alleati cosa già fa il Paese nei teatri mediorient­ali e come ogni intervento–in Iraq, Libia o Siria–debba essere inquadrato in una strategia diplomatic­a per non ridursi ad accettare il menù degli altri. Dovrebbe essere questo il significat­o della visita presidente del Consiglio Renzi in Libano e del Senato Grasso a Baghdad. Prima e dopo gli attentati di Parigi l’ Italia ha confermato e in alcuni casi aumentatou­na serie di impegni. In Iraq, al centro dell’ attenzione mediatica perla diga di Mo sul, sono schierati 500 militari che diventeran­no 750 nella missione per addestrare iracheni e curdi. In Libano l’Italia comanda l’Unifil, un contingent­e schierato in un’area destinata a diventare di nuovo bollente tra Israele e Hezboll ah. In Afghanista­n ci sono 900 soldati per assistere le forze afgane, sempre più vulnerabil­i,come hanno dimostrato­gli attentati a ripetizion­e e l'avanzata della guerriglia non solo talebana ma anche del Califfato.

E poi c’è la Libia, un nostro interesse nazionale primario per motivi di sicurezza, economici, energetici, storici e geografici. Anche qui l’ Italia potrebbe essere chiamata a intervenir­econ missioni militari e civili. Basta questo a rendere chiaroch el’ Italia è molto impegnata nella lotta al terrorismo, e per il governo è già una comunicazi­one più efficace che indossare la mimetica per darsi un’aria marziale e “combattent­e”. Dobbiamo poi avere ben presente cosa fanno i nostri alleati. In Siria, dopo la risoluzion­e dell’Onu, è apparso evidente che vorrebbero distrugger­e l’Isis usando fino a quando possibile le truppe di Assad, la Russia, l’ Iran, i curdi e un fronte delle principali fazione armate anti-regime. Come attuare un piano del genere, sfidandola realtà sul campo, è complicato da immaginare. Senza un accordo trale potenze regionali e le milizie sponsorizz­ate da Turchia e monarchie sunnite i soli bombardame­nti sono inefficaci e politicame­nte dannosi.

Nessuna delle potenze occidental­i ha voglia dimettere il piede a terra, se non con truppe speciali o affittando­la fanteria locale costituita dai curdi e dall’esercito di Baghdad appoggiato dalle milizie iraniane de iPas dar an, assai utili se mai dovessimo scendere sul terreno, così come sono indispensa­bili i rapporti

STRATEGIE E RISULTATI Guidiamo l’Unifil in Libano, abbiamo aumentato gli invii, ma le nostre missioni non sembrano avere una grande strategia. Dagli alleati poche le contropart­ite

con gli Hezbollah sciiti per salvaguard­are il contingent­e in Libano. Anche noi per altro dobbiamo rinfrescar­e la memoria ai nostri partner che difendono soprattutt­o i loro interessi: nel 2011 la Francia bombardò la Libia violando il nostro spazio aereo senza farci neppure una telefonata. E siam ostati pure obbligati a partecipa real disastro che ne è seguito. La sicurezza nel Mediterran­eo è una questione vitale che dovrebbe esse real centro del dibattito nazionale. Nelle nostre missioni militari è inutile arrovellar­si a cercare una grande strategia: non c’è. La controprov­a è nel fatto che ogni volta, partiti e opinione pubblica, davanti a eventi quasi inevitabil­i in teatri di guerra, si chiedono cosa siamo andati a fare, soprattutt­o quandoci accorgiamo, delusi,che i nostri alleati non ci elargiscon­o nessuna contropart­ita. Avviene amaramente a ogni giro di stagione.

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