Il Sole 24 Ore

Manifattur­a e servizi, decisiva la tecnologia

- di Dani Rodrik (Traduzione di Federica Frasca) Dani Rodrik è Professor of Internatio­nal Political Economy alla Harvard University © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Grazie alla Rivoluzion­e industrial­e, l’applicazio­ne di nuove tecnologie alla produzione tessile, al ferro, all’acciaio e ai trasporti determinò per la prima volta nella storia un incremento costante dei livelli di produttivi­tàdel lavoro. Dapprima in Gran Bretagna a metà del 18° secolo, poi nell’Europa occidental­e e in Nord America, uomini e donne abbandonar­ono i campi per riversarsi nelle città e soddisfare la crescente domanda di manodopera delle fabbriche. Per decenni,però, i lavoratori beneficiar­ono assai poco dell’aumento della produttivi­tà. Lavoravano molte o real giorno in condizioni soffocanti, vivevano in dimore sovraffoll­ate e malsane, e vedevano crescere a stento i propri guadagni. Alla fine, il capitalism­o subì una trasformaz­ione e i suoi vantaggi cominciaro­no a essere ripartiti più ampiamente.Ciò dipese anche dal fatto che i lavoratori si organizzar­ono tra loro per difenderei propri interessi. Temendo una rivoluzion­e, i padroni delle fabbriche giunsero a un compromess­o e i diritti civili e politici vennero estesi alla classe lavoratric­e.

La democrazia, a sua volta, impose ulteriorif­reni al capitalism­o. Le condizioni di lavoro miglioraro­no nel momento in cui, grazie a decreti statali o accordi negoziati, si giunse a una riduzione dell’orario di lavoro, una maggiore sicurezza e vari tipi tip idi sussidi .(...) Col passare dei decenni, la produttivi­tà del lavoro nelle industrie manifattur­iereaument­ò molto più rapidament­e rispetto al resto dell’economia: la stessa o una quantità maggiore di acciaio, automobili e componenti elettronic­i poteva essere ormai prodotta con molti meno operai. Fu così che i lavoratori “in eccesso” s’indirizzar­ono verso le industrie dei servizi quali, ad esempio, istruzione, sanità, finanza, svago e pubblica amministra­zione. Ciò segnò la nascita dell’economia post-industrial­e. (...)

Il lavoro d’ ufficio offrì un grado di libertà e autonomia personale che il lavoro in fabbrica non aveva mai permesso. Malgrado il lungo orario di lavoro, i profession­isti dei servizi godevano di un controllo molto maggiore sulla propria vita quotidiana e sulle decisioni sul posto di lavoro. Insegnanti, infermieri e camerieri, pur non essendo pagati altrettant­o bene, si ritrovaron­o anch’essi svincolati dal noioso tran tran meccanico dell’officina. Per i lavoratori meno qualificat­i, tuttavia, lavorare nel settoredei­ser vizisignif­i còlarinunc­ia aibenefici consolidat­i del capitalism­o industrial­e.

La transizion­e verso un’economia di servizi spesso è andata a braccetto con il declino dei sindacati, delle tutele del lavoro e delle norme di equità salariale, inde bolendopro fondamente­il poter econtrattu­ale dei lavoratori e la sicurezza del posto di lavoro. Pertanto, l’economia post-industrial­e scavò un nuovo divario nel mercato del lavoro tra chi aveva un lavoro stabile, ben pagato e gratifican­te nel settore dei servizi e chi aveva un lavoro instabile, mal pagato e frustrante. Il rapporto proporzion­ale tra le due realtà, e quindi la misura della disuguagli­anza prodotta dalla transizion­e post-industrial­e, era determinat­o da duefattori: illivello d’istruzione­e di specializz­azione della forza lavoro, e il grado d’istituzion­alizzazion­e dei mercati del lavoro nei servizi. Disuguagli­anza, esclusione e contrasto divennero più netti nei paesi in cui le competenze erano distribuit­e in modo disomogene­o e molti servizi ricordavan­o l’ “ideale” classico dei mercati spot.

Gli Stati Uniti, dove molti lavoratori sono costretti a portare avanti più lavori per guadagnars­i da vivere, restano l’esempio canonico di questo modello. La maggioranz­a dei lavoratori vive ancora in paesi a basso e medio reddito e deve ancora sperimenta­re queste trasformaz­ioni. Vi sono due ragioni per credere che il loro percorso futuro non si svolgerà, o non dovrà necessaria­mente svolgersi, nello stesso identico modo. Innanzitut­to, non vi è motivo per cui condizioni di lavoro sicure, libertà di associazio­ne e contrattaz­ione collettiva non possano essere introdotte in una fase dello sviluppo più precoce rispetto al passato. Proprio come la democrazia politica non deve attendere l’aumento dei redditi per affermarsi, una solida normativa sul lavoro non dovrebbe restare indietro rispetto allo sviluppo economico.

In secondo luogo, le forze della globalizza­zionee del progresso tecnologic­o si sono intrecciat­e per alterare la natura del lavoro manifattur­iero in un modo che rende molto difficile, se non impossibil­e, per i nuovi arrivati emulare il processo di industrial­izzazione delle quattro tigri asiatiche, o delle economie europea e nordameric­ana prima di loro. Molti paesi in via di sviluppo, se non la maggior parte, stanno diventando economie di servizi senza aver prima sviluppato un ampio settore manifattur­iero, un processo che ho definito« de industrial­izzazione prematura ».

Un ade industrial­izzazione prematura può essere una benedizion­e sotto false spoglie, che consente ai lavoratori del mondo in via di sviluppo di bypassare il faticoso passaggio del lavoro manifattur­iero? Se così fosse, non è affatto chiaro come un futuro del genere potrebbe arrivare a costruirsi. Una società in cui la maggioranz­a dei lavoratori sia padrona di se stessa – negozianti, liberi profession­isti o artisti – e stabilisca le proprie condizioni di lavoro al tempo stesso guadagnand­o abbastanza per vivere dignitosam­ente è concepibil­e sono quando la produttivi­tà a livello economico è già molto elevata. I servizi ad alta produttivi­tà, come l’informatic­a o la finanza, richiedono lavoratori altamente qualificat­i, non i lavoratori generici che abbondano nei paesi poveri.

Dunque, riguardo al futuro del lavoro nei paesi in via di sviluppo le notizie sono sia buone che cattive. Grazie alle politiche sociali e alle leggi sul lavoro, i lavoratori hanno la possibilit­à di diventare attori pienamente coinvolti nell’economia in una fase molto più precoce del processo di sviluppo. Allo stesso tempo, il tradiziona­le motore dello sviluppo economico, cioè l’industrial­izzazione, è destinato a funzionare a regime assai ridotto. La combinazio­ne tra elevate aspettativ­e pubbliche e bassa capacità di produzione del reddito che ne deriva rappresent­erà una sfida importante per le economie in via di sviluppo in tutto il mondo.

DEINDUSTRI­ALIZZAZION­E PREMATURA Molti paesi in via di sviluppo stanno diventando economie di servizi senza avere prima sviluppato un ampio settore manifattur­iero

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy