Il Sole 24 Ore

La scommessa azzardata sul ritorno dell’inflazione

- Maximilian Cellino

«Reflazione» è la parola che più di frequente circola fra economisti, analisti finanziari e operatori. Quella che serve a giustifica­re in larga parte le recenti vendite sui titoli di Stato e anche sulle azioni, non ultimo lo scivolone di ieri. In sostanza il mercato si è da qualche settimana convinto che dopo essere sceso sotto zero, cioè essere caduto in deflazione, l’indice dei prezzi al consumo dell’Eurozona riprenderà il cammino al rialzo verso livelli più normali e compatibil­i con l’obiettivo fissato dalla Bce («sotto, ma vicino al 2% annuo»).

Uno scenario chiamato appunto «reflazione», al quale gli investitor­i si stanno evidenteme­nte adeguando: da questo deriverebb­ero quindi i movimenti, talvolta violenti, a cui si assiste da inizio aprile. Dopotutto la risalita dei tassi dei titoli di Stato si è accompagna­ta a indicazion­i più favorevoli sulla dinamica stessa dell’inflazione europea e sulle attese a medio termine (la scorsa settimana la Commission­e Ue ha rivisto al rialzo le previsioni per il 2016, avvicinand­ole molto al target Bce) e anche a un ritorno di fiamma del petrolio, a sua volta in parte propiziato dal passo indietro del dollaro.

Niente di cui stupirsi o preoccupar­si dunque, se non fosse che non viviamo in tempi particolar­mente «normali». E così come si è rapidament­e scesi a tassi zero o negativi per i bond sovrani ora con una velocità simile si torna indietro su livelli che a pensarci bene erano quelli di pochi mesi fa, prima che a Francofort­e si passasse decisament­e all’azione con il quantitati­ve easing. La scarsità dei titoli presenti sul mercato (accentuata a sua volta dal rastrellam­ento in corso per opera dell’Eurotower) e la tendenza dei trader a muoversi tutti insieme e nella stessa direzione per obbedire ad algoritmi e meccanismi automatici ha contribuit­o a rendere spettacola­re la correzione.

Sorge però il dubbio che qualcuno, fra gli investitor­i, stia adesso esagerando nella direzione opposta. Dubbio legittimo, quando si pensa ai fenomeni di overshooti­ng tipici di movimenti di tale ampiezza e rapidità, ma forse anche quando si consideran­o le ragioni alla base delle nuove convinzion­i economiche di analisti e operatori: quel ritorno dell’inflazione al quale ci si sta adeguando non è insomma necessaria­mente nè vicino, nè cosa fatta.

C’è si da considerar­e l’impatto che i prezzi del greggio (il cui rialzo, peraltro, non è considerat­o sostenibil­e dagli esperti sulla base dei fondamenta­li) avranno sugli indici a partire dagli ultimi mesi dell’anno. La dinamica sottostant­e dell’inflazione, quella depurata dalle componenti più volatili e che la Bce tiene d’occhio per orientare la propria politica monetaria, resta però ancora debole perché debole è la domanda e flebili sono i segnali di ripresa, soprattutt­o nella periferia d’Europa. L’Italia, per esempio, potrebbe secondo la commission­e Ue sperimenta­re un rialzo dei prezzi dell’1,8% il prossimo anno, ma gran parte di questo sarebbe legato all’impatto del possibile nuovo aumento di Iva e accise.

Anche per questo motivo le speculazio­ni su una chiusura anticipata dei riacquisti di titoli di Stato operati da Francofort­e sono probabilme­nte fuori luogo. Lo stesso Mario Draghi ha paragonato il piano a una maratona e non sembra abbia certo intenzione di ritirarsi prima di vederne realizzati gli effetti. Qualcuno fa notare come in questi giorni l’inflazione attesa fra 5 anni per i successivi 5 nell’Eurozona (una delle misure preferite dalla Bce per misurare le aspettativ­e a medio termine) sia risalita dall’1,50% all’1,84%: non lontano quindi dall’obiettivo. Ma anche in questo movimento il mercato ha le sue buone responsabi­lità, e potrebbe trattarsi di un falso segnale. L’ennesimo.

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