La scommessa azzardata sul ritorno dell’inflazione
«Reflazione» è la parola che più di frequente circola fra economisti, analisti finanziari e operatori. Quella che serve a giustificare in larga parte le recenti vendite sui titoli di Stato e anche sulle azioni, non ultimo lo scivolone di ieri. In sostanza il mercato si è da qualche settimana convinto che dopo essere sceso sotto zero, cioè essere caduto in deflazione, l’indice dei prezzi al consumo dell’Eurozona riprenderà il cammino al rialzo verso livelli più normali e compatibili con l’obiettivo fissato dalla Bce («sotto, ma vicino al 2% annuo»).
Uno scenario chiamato appunto «reflazione», al quale gli investitori si stanno evidentemente adeguando: da questo deriverebbero quindi i movimenti, talvolta violenti, a cui si assiste da inizio aprile. Dopotutto la risalita dei tassi dei titoli di Stato si è accompagnata a indicazioni più favorevoli sulla dinamica stessa dell’inflazione europea e sulle attese a medio termine (la scorsa settimana la Commissione Ue ha rivisto al rialzo le previsioni per il 2016, avvicinandole molto al target Bce) e anche a un ritorno di fiamma del petrolio, a sua volta in parte propiziato dal passo indietro del dollaro.
Niente di cui stupirsi o preoccuparsi dunque, se non fosse che non viviamo in tempi particolarmente «normali». E così come si è rapidamente scesi a tassi zero o negativi per i bond sovrani ora con una velocità simile si torna indietro su livelli che a pensarci bene erano quelli di pochi mesi fa, prima che a Francoforte si passasse decisamente all’azione con il quantitative easing. La scarsità dei titoli presenti sul mercato (accentuata a sua volta dal rastrellamento in corso per opera dell’Eurotower) e la tendenza dei trader a muoversi tutti insieme e nella stessa direzione per obbedire ad algoritmi e meccanismi automatici ha contribuito a rendere spettacolare la correzione.
Sorge però il dubbio che qualcuno, fra gli investitori, stia adesso esagerando nella direzione opposta. Dubbio legittimo, quando si pensa ai fenomeni di overshooting tipici di movimenti di tale ampiezza e rapidità, ma forse anche quando si considerano le ragioni alla base delle nuove convinzioni economiche di analisti e operatori: quel ritorno dell’inflazione al quale ci si sta adeguando non è insomma necessariamente nè vicino, nè cosa fatta.
C’è si da considerare l’impatto che i prezzi del greggio (il cui rialzo, peraltro, non è considerato sostenibile dagli esperti sulla base dei fondamentali) avranno sugli indici a partire dagli ultimi mesi dell’anno. La dinamica sottostante dell’inflazione, quella depurata dalle componenti più volatili e che la Bce tiene d’occhio per orientare la propria politica monetaria, resta però ancora debole perché debole è la domanda e flebili sono i segnali di ripresa, soprattutto nella periferia d’Europa. L’Italia, per esempio, potrebbe secondo la commissione Ue sperimentare un rialzo dei prezzi dell’1,8% il prossimo anno, ma gran parte di questo sarebbe legato all’impatto del possibile nuovo aumento di Iva e accise.
Anche per questo motivo le speculazioni su una chiusura anticipata dei riacquisti di titoli di Stato operati da Francoforte sono probabilmente fuori luogo. Lo stesso Mario Draghi ha paragonato il piano a una maratona e non sembra abbia certo intenzione di ritirarsi prima di vederne realizzati gli effetti. Qualcuno fa notare come in questi giorni l’inflazione attesa fra 5 anni per i successivi 5 nell’Eurozona (una delle misure preferite dalla Bce per misurare le aspettative a medio termine) sia risalita dall’1,50% all’1,84%: non lontano quindi dall’obiettivo. Ma anche in questo movimento il mercato ha le sue buone responsabilità, e potrebbe trattarsi di un falso segnale. L’ennesimo.