Fallimento non oltre sette anni
procedura fallimentare anche se complessa non può durare più di sette anni. Il countdown, ai fini dell’indennizzo previsto dalla legge Pinto, non deve però partire dalla data di dichiarazione di fallimento ma da quella dell’insinuazione al passivo. La Cassazione, con la sentenza 9452 depositata ieri, accoglie in parte il ricorso di creditori ed eredi per annullare il verdetto che aveva tagliato non solo un anno di inden- nizzo, giudicando ragionevole una durata di otto anni, ma anche la somma dovuta dallo Stato mettendo come tetto massimo il valore della causa, come previsto nel Dl Sviluppo (Dl 83/2012, convertito nella legge 134/2012).
Per quanto riguarda il primo punto la Suprema corte ricorda che un fallimento deve durare cinque anni, che possono diventare al massimo sette solo se il procedimento è particolarmente complesso, per il numero di creditori coinvolti, per la particolare situazione giuridica o la natura dei beni da liquidare, come nel caso delle quote indivise.
L’orologio, ai fini della Pinto, va fatto però partire dal momento dell’insinuazione al passivo e non, come pretendevano i ricorrenti, da quello della dichiarazione di fallimento. Ma questo è l’unico punto a suo favore che fa segnare la Corte territoriale, che sbaglia ancora nel tarare l’indennizzo sui parametri indicati dal Dl sviluppo, perché la norma non ha effetto retroattivo e può essere applicata solo ai ricorsi depositati dall’11 settembre 2012 in poi, mentre il caso in questione era precedente. Uno sconto allo Stato però lo fa anche la Cassazione. La Corte, pur consapevole che la cifra indicata dalla Cedu è di 750 euro almeno per i primi tre anni di ritardo e non inferiore a 1.000 per i successivi, ricorda che il giudice ha un margine di manovra per discostarsene in modo ragionevole, guardando al caso specifico.
Nella procedura esaminata, che era durata 18 anni, la Cassazione esercita la sua discrezionalità liquidando 500 euro da moltiplicare per gli undici anni di ritardo.