UNA SOCIETÀ CHE VUOLE ELIMINARE IL CONFLITTO
Di questi tempi il tema è sorprendente scivoloso e allora, da paviducci, ci proteggiamo con Byung-Chul Han il filosofo pop sudcoreano che vive in Germania. È stato lui a parlare di società palliativa. Una società vittima della mania di voler piacere. “Il like è l’emblema – scrive – il vero e proprio analgesico della contemporaneità. Nulla deve fare più male. Non solo l’arte, ma anche la vita stessa deve essere instagrammabile, ovvero priva di angoli e di spigoli, di conflitti e contraddizioni che potrebbero provocare dolore”. Ne parla a proposito del dolore. La nostra è una società che ha espunto il dolore. È un concetto che possiamo estendere anche al conflitto. Persino al banale diritto a contestare. Ogni qual volta c’è una contestazione, pare che siamo di fronte a un cataclisma. Le proteste sono una componente della vita democratica. Non violente, per carità. Più o meno nel rispetto del regole, siamo d’accordo. Ma la libertà di contestare è un pre-requisito, non dovremmo nemmeno discuterne. Non è che a ogni forma di dissenso sembra che siamo di fronte a un evento sconvolgente. Solo negli Stati a democrazia ridotta, le proteste sono bandite. È un discorso che rientra in un quadro più ampio. Educhiamo i nostri figli nella speranza che non si scontrino con le brutture dell’esistenza. È un’assurdità. Viviamo in un’epoca impiastricciata dal politicamente corretto. Tutto dev’essere perfettino. È il film “American fiction” a proposito della narrazione sui neri. Anche i media dovrebbero cominciare a cambiare atteggiamento. Ogni minimo conflitto viene da noi presentato come se fosse la fine del mondo. Pure l’altro giorno agli Stati generali della Natalità. Sì, sarebbe stato meglio che Roccella fosse stata libera di parlare. Però non è crollato il mondo. Si è creato un clima eccessivamente teso rispetto a quel che è realmente accaduto. Ieri un ulteriore salto di qualità. Gli scontri con i poliziotti. Studenti e agenti feriti. Col solito teatrino di accuse reciproche. Se imparassimo a convivere con il dissenso e a uscire dalla bolla del perfettamente confezionato, lo considereremmo parte della normalità.