48 su 9mila all’anno: il bluff dei passaggi tra l’accusa e la difesa
tro le “forze della conservazione” e quando l’anm sottolinea “una volontà punitiva” e il rischio di “controllo del governo sui magistrati”, la premier nega: “Di cosa dovrei vendicarmi coi magistrati? Non sono nemici”. Fedele Confalonieri si lascia scappare un “era ora”, FI festeggia con vecchi video di B. sui social. Secondo Nordio la riforma “rende omaggio a Giuliano Vassalli e Giovanni Falcone” e l’anm si deve fermare di fronte “alla sacra volontà popolare”. L’iter in Parlamento però non sarà facile. Lo sa anche Mantovano: “I tempi non saranno rapidissimi, anche se l’auspicio è che non saranno dilazionati. Ma non è scontato che si arrivi al referendum”.
Quarantotto magistrati l’anno su novemila, a spanne lo 0,5%. Basta questo dato per smascherare il bluff del governo, che celebra con toni trionfali il varo in Consiglio dei ministri del ddl costituzionale sulla separazione delle carriere. La riforma renderà “più equilibrato il rapporto tra difesa e accusa nel corso del processo”, assicura la premier Giorgia Meloni, cavalcando il mantra secondo cui i giudici guardano con più simpatia ai pubblici ministeri (penalizzando gli avvocati) perché i magistrati possono passare, almeno in teoria, da una funzione all’altra. Una leggenda che però si schianta contro numeri indiscutibili. Intanto quelli delle assoluzioni, che in primo grado (dati 2022) costituiscono il 55,4% degli esiti dei giudizi ordinari e il 47,8% di quelli complessivi: difficile spiegarlo con la teoria del giudice “sdraiato” sull’accusa. Ma soprattutto quelli dei traslochi da un incarico giudicante a uno inquirente, ormai talmente rari da potersi considerare quasi una curiosità, e non certo un’emergenza da contrastare con una misura "epocale" (la definizione è sempre della presidente del Consiglio).
Nel 2006, infatti, la riforma dell’ordinamento giudiziario del Guardasigilli leghista Roberto Castelli (governo Berlusconi IV) ha introdotto limiti rigidissimi ai passaggi, poi inaspriti ancora dalla riforma Cartabia del 2022. Risultato: dal 2006 al 2021 (ultimo dato disponibile) i magistrati che hanno cambiato funzione da giudice a pm o viceversa sono stati in media 48 all’anno, a fronte di 8.998 toghe attualmente in servizio. In particolare, la media dei giudici diventati pm è di 19,5 l’anno su 6.746, cioè lo 0,29%, quella dei pm diventati giudici di 28,5 su 2.252, l’1,27%. Ma nell’ultimo triennio il dato è precipitato a meno di dieci "trasformazioni" l’anno.
LA RAGIONE
di questa penuria si comprende guardando le norme sulla materia. Se prima del 2006 i magistrati potevano passare da una funzione all’altra a loro piacimento, con la riforma Castelli i margini per farlo sono diventati strettissimi: un giudice che vuol diventare pubblico ministero (o viceversa) deve spostarsi in un altro distretto di Corte d’appello, cioè, nella maggior parte dei casi, in un’altra regione. Ma non può scegliere il distretto competente sui reati commessi dai magistrati del proprio: quindi, di solito, è off limits pure una delle regioni confinanti. Per fare qualche esempio, una toga di Torino non può andare in Piemonte né in Lombardia, una di Roma né nel Lazio né in Umbria, una di Napoli né in Campania né nel Lazio. Già abbastanza per scoraggiare chi non vuole trasferirsi a centinaia di chilometri. Ma non è tutto: la riforma berlusconiana aveva fissato un limite massimo di quattro passaggi in carriera, che nel 2022 la legge Cartabia ha ridotto a uno solo, per di più consentito esclusivamente nei primi dieci anni. Di fatto, quindi, la separazione delle carriere esiste già ed è stata “interiorizzata”: al momento, chi sceglie un posto inquirente o giudicante sa che probabilmente rimarrà nella stessa categoria fino alla pensione. E anche qui la prova sta nei numeri: dei 2.472 magistrati più giovani, quelli assunti tra il 2005 e il 2017, appena in 44 (l’1,78%) hanno traslocato da giudice a pm o viceversa, e soltanto uno ha fatto il passaggio per due volte.
Anche guardando a tempi più lontani, però, i dati mostrano l’inconsistenza dell’ossessione delle destre e dei “liberali” (fomentati dal mondo dell’avvocatura) per dividere i percorsi. Dei 12.212 magistrati assunti dal 1965 a oggi, il 74,1% (9.048) non ha cambiato funzione nemmeno una volta, nonostante – come abbiamo visto – fino al 2006 non esistesse alcun limite. Il decennio con più passaggi è stato quello tra il 1986 e il 1995, quando hanno cambiato funzione in 1.302, ma il dato ha cominciato a calare già tra il 1996 e il 2005, cioè prima della riforma Castelli. I limiti al “trasloco” introdotti negli ultimi anni hanno penalizzato soprattutto le donne, ancora oggi evidentemente più in difficoltà ad affrontare trasferimenti importanti per lavoro: nonostante siano la maggioranza in magistratura (attualmente 5.321 contro 4.213 uomini), poco più di un migliaio di quelle assunte a partire dal 1965 ha cambiato funzione almeno una volta in carriera, contro gli oltre duemila uomini.
La premier Meloni, il sottosegretario Mantovano e il ministro Nordio
I numeri Il finto problema dei magistrati che “traslocano” E il 55% dei processi finisce con un verdetto diverso dalla tesi degli inquirenti