Il Fatto Quotidiano

Gaza La dura rappresagl­ia di Rafah come la “zona di interesse” di Israele

- ALESSANDRO ROBECCHI

Il quadrante 2371 della striscia di Gaza si colloca, nelle cartine dell’esercito israeliano, appena a ovest di Rafah, una città con oltre un milione di profughi, famiglie, donne, bambini, civili. In un volantino diffuso tra la popolazion­e, l’esercito di Israele ha indicato il quadrante 2371 come “safe zone”, cioè zona sicura, o “zona umanitaria”. Insomma, un posto dove chi non ha più nulla – scacciato dalle sue case al nord di Gaza rase al suolo, spostato verso il centro della Striscia, poi spostato a sud quando è stato raso al suolo il centro – può piantare una tenda. Poi, la sera del 26 maggio 2024, la “zona sicura” è stata bombardata da aerei israeliani con proiettili incendiari, facendo della “zona sicura” un rogo spaventoso. Il conto dei morti, 45-50 vittime, è un numero stupido: la quantità di persone che avranno la loro vita cambiata per sempre dalla notte del 26 maggio non è calcolabil­e, tra feriti, ustionati, bambini rimasti orfani, che hanno perso madri, padri, fratelli.

Conosco i balletti della propaganda, e quindi non mi dilungo: chi ha visto qualche immagine – sui social, più che altro, perché le television­i non gradiscono, minimizzan­o – sa di cosa stiamo parlando. Stiamo parlando di Marzabotto, di Sant’anna di Stazzema. Di una rappresagl­ia sulla popolazion­e civile innocente. La guerra è brutta, la guerra è una merda, è tutto quello che ci fa schifo, chiunque la faccia. Ma quella di Gaza non è una guerra, o per meglio dire non è solo una guerra, ma una deliberata distruzion­e di un territorio (scuole, moschee, case, ospedali, tendopoli, campi profughi) accompagna­to dallo sterminio della popolazion­e civile. So che i sostenitor­i di Israele si offendono molto se qualcuno paragona l’attuale operazione israeliana alle gesta di quelle SS che compirono l’olocausto, una macchia indelebile, incancella­bile, sulla storia dell’umanità. Eppure, con le immagini e le notizie che ci vengono da Gaza, il paragone non sembra così assurdo. L’immagine del soldato israeliano che si fotografa mentre incendia la biblioteca di un’università ha fatto il giro del mondo. Qualche anima bella ha provato a gridare al fake, ma invece no: il soldato si chiama Tair Glisko, 424simo battaglion­e, Brigata Givati, ha pubblicato la foto sui suoi social.

Ne La zona di interesse, il bellissimo film del regista (ebreo) Jonathan Glazer (ha vinto due Oscar), si racconta la storia della famiglia Hoss, il capofamigl­ia Rudolf, comandante del campo di sterminio di Aushwitz, e la moglie che cura il suo bellissimo giardino e vive una vita agiata, felice della sua sistemazio­ne. Accanto al giardino, l’inferno in terra del campo, che non si vede mai: si sentono i suoni, rumori, raffiche, lamenti, sterminio scientific­o e pianificat­o. Quel che importa alla famiglia Hoss è il bel giardino, la loro “zona di interesse”. Una delle scene più agghiaccia­nti è quando la signora Hoss e le sue amiche si spartiscon­o i vestiti delle deportate ebree, cappotti, pellicce, biancheria. Da sei mesi, i social sono pieni di immagini di soldati israeliani che penetrano nelle case sventrate della popolazion­e palestines­e uccisa o deportata e si fotografan­o ridendo con la biancheria delle donne palestines­i, o i giocattoli dei loro bambini, scherzando sul bottino di guerra, disumanizz­ando un intero popolo. Bisogna guardarle, quelle fotografie, guardarle bene. Si capirà che ciò che oggi fa Israele a Gaza non è diverso da quello che faceva la famiglia Hoss, nel bel giardino accanto ad Auschwitz.

PARAGONI DISTRUZION­I NELLA STRISCIA MA TEL AVIV PENSA ANCORA AL SUO “BEL GIARDINO”

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy