Doppia morale L’fmi torna a chiedere austerità all’italia, dopo aver detto che non riduce il debito
Ireport del Fondo Monetario “ex art. IV” raramente riservano sorprese. La versione “provvisoria e non impegnativa” – come si legge nel prologo – appena pubblicata sull’italia non fa eccezione. Si raccomandano come al solito il consolidamento dei conti pubblici (un avanzo al netto degli interessi di almeno 3% di Pil, che corrisponde a un deficit di circa 1%) e la solita “razionalizzazione” di entrate e spese, soprattutto a danno di welfare e sconti fiscali. Si raccomanda anche di aumentare gli investimenti pubblici in infrastrutture e formazione, ridurre il cuneo fiscale e prendere provvedimenti che stimolino ricerca, produttività, occupazione femminile e natalità, per ridurre il peso del debito pubblico e per costituire una inedita riserva per future emergenze (anche belliche). Un po’ troppi obiettivi per una spesa che si pretende di ridurre. Eppure l’incipit dello stesso rapporto riconosce che la ripresa dell’economia è attribuibile essenzialmente agli stimoli fiscali che hanno accompagnato e seguito la pandemia e hanno contribuito a ridurre il rapporto tra debito e Pil in quasi tutti i Paesi, in Italia in maniera molto significativa. Ora i funzionari dell’fmi raccomandano di tornare indietro alla tradizionale ricetta di austerità, mitigata – scrivono – da imposte più progressive sui redditi per attenuare le disuguaglianze generate dai tagli. Va però ricordato che lo stesso Fondo, nel capitolo 3 del suo “World Economic Outlook” di aprile 2023, scriveva “in media, il consolidamento fiscale non riduce il rapporto tra debito e Pil”, cioé che le politiche di austerity provocano recessione, corredando questa affermazione con molte pagine di evidenze empiriche e analisi teoriche. L’fmi riconosce che un avanzo di bilancio riduce il debito ma anche la domanda interna e quindi riduce il Pil: dunque l’austerità, invece di migliorarlo, può peggiorare il famigerato rapporto debito/pil. Una decina d’anni fa l’aveva dimostrato anche il capo-economista dell’fmi più volte candidato al Nobel, Olivier Blanchard, scusandosi a babbo morto per la “cura sbagliata” imposta alla Grecia. Attualmente il debito italiano si aggira sui 2.800 miliardi e il Pil sui 2.000, con un rapporto tra i due che sfiora il 140%. Se aggiungiamo una spesa in deficit di 200 miliardi, nell’ordine di quella imputata al superbonus, il debito arriverebbe a 3.000 miliardi, ma questa spesa farebbe crescere anche il Pil. Se questo aumento fosse pari solo al 75% dell’extra-debito (ossia meno delle ultime stime dell’istat) il famigerato rapporto scenderebbe a 3.000/2150 = 139,5%. Miracoli dell’aritmetica!
Eppure l’fmi raccomanda di annullare gli incentivi per l’efficientamento energetico e sismico come non efficienti. C’è qualcosa di bipolare confrontando la posizione di aprile 2023 e quella di pochi giorni fa. Eliminare i tax credit penalizza l’economia, rischiando ora di farla avvitare nella già evidente crisi ingenerata per il settore edile dal blocco della compensazione dei crediti fiscali dei bonus, o della loro inutilizzabilità concreta da parte di chi ha già fatto progetti e investimenti. Ma stupisce, o atterrisce, l’incoerenza dell’fmi con sé stesso quando ha dato un lusinghiero giudizio all’inflation Reduction Act, la legge Usa che utilizza a piene mani i tax credit.