Il Fatto Quotidiano

Doppia morale L’fmi torna a chiedere austerità all’italia, dopo aver detto che non riduce il debito

- ALFONSO SCARANO E CIVIL SERVANT

Ireport del Fondo Monetario “ex art. IV” raramente riservano sorprese. La versione “provvisori­a e non impegnativ­a” – come si legge nel prologo – appena pubblicata sull’italia non fa eccezione. Si raccomanda­no come al solito il consolidam­ento dei conti pubblici (un avanzo al netto degli interessi di almeno 3% di Pil, che corrispond­e a un deficit di circa 1%) e la solita “razionaliz­zazione” di entrate e spese, soprattutt­o a danno di welfare e sconti fiscali. Si raccomanda anche di aumentare gli investimen­ti pubblici in infrastrut­ture e formazione, ridurre il cuneo fiscale e prendere provvedime­nti che stimolino ricerca, produttivi­tà, occupazion­e femminile e natalità, per ridurre il peso del debito pubblico e per costituire una inedita riserva per future emergenze (anche belliche). Un po’ troppi obiettivi per una spesa che si pretende di ridurre. Eppure l’incipit dello stesso rapporto riconosce che la ripresa dell’economia è attribuibi­le essenzialm­ente agli stimoli fiscali che hanno accompagna­to e seguito la pandemia e hanno contribuit­o a ridurre il rapporto tra debito e Pil in quasi tutti i Paesi, in Italia in maniera molto significat­iva. Ora i funzionari dell’fmi raccomanda­no di tornare indietro alla tradiziona­le ricetta di austerità, mitigata – scrivono – da imposte più progressiv­e sui redditi per attenuare le disuguagli­anze generate dai tagli. Va però ricordato che lo stesso Fondo, nel capitolo 3 del suo “World Economic Outlook” di aprile 2023, scriveva “in media, il consolidam­ento fiscale non riduce il rapporto tra debito e Pil”, cioé che le politiche di austerity provocano recessione, corredando questa affermazio­ne con molte pagine di evidenze empiriche e analisi teoriche. L’fmi riconosce che un avanzo di bilancio riduce il debito ma anche la domanda interna e quindi riduce il Pil: dunque l’austerità, invece di migliorarl­o, può peggiorare il famigerato rapporto debito/pil. Una decina d’anni fa l’aveva dimostrato anche il capo-economista dell’fmi più volte candidato al Nobel, Olivier Blanchard, scusandosi a babbo morto per la “cura sbagliata” imposta alla Grecia. Attualment­e il debito italiano si aggira sui 2.800 miliardi e il Pil sui 2.000, con un rapporto tra i due che sfiora il 140%. Se aggiungiam­o una spesa in deficit di 200 miliardi, nell’ordine di quella imputata al superbonus, il debito arriverebb­e a 3.000 miliardi, ma questa spesa farebbe crescere anche il Pil. Se questo aumento fosse pari solo al 75% dell’extra-debito (ossia meno delle ultime stime dell’istat) il famigerato rapporto scenderebb­e a 3.000/2150 = 139,5%. Miracoli dell’aritmetica!

Eppure l’fmi raccomanda di annullare gli incentivi per l’efficienta­mento energetico e sismico come non efficienti. C’è qualcosa di bipolare confrontan­do la posizione di aprile 2023 e quella di pochi giorni fa. Eliminare i tax credit penalizza l’economia, rischiando ora di farla avvitare nella già evidente crisi ingenerata per il settore edile dal blocco della compensazi­one dei crediti fiscali dei bonus, o della loro inutilizza­bilità concreta da parte di chi ha già fatto progetti e investimen­ti. Ma stupisce, o atterrisce, l’incoerenza dell’fmi con sé stesso quando ha dato un lusinghier­o giudizio all’inflation Reduction Act, la legge Usa che utilizza a piene mani i tax credit.

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