Indagata Boccassini: “Nascose chi bruciò il filone su B. e mafia”
Ilda Boccassini è indagata dalla Procura di Firenze per false informazioni al pubblico ministero in un filone nato dalle indagini fiorentine sulle stragi del 1993 che coinvolgevano Silvio Berlusconi e proseguono ora solo contro Marcello Dell’utri. L’ex procuratrice aggiunta ha ricevuto l’avviso di chiusura indagine dai procuratori aggiunti Luca Tescaroli e Luca Turco non perché avrebbe mentito ma perché “taceva ciò che sapeva” sulla fonte di uno scoop del 1994 fatto su Repubblica da Giuseppe D’avanzo e Attilio Bolzoni. La dichiarazione reticente sarebbe stata compiuta quando la ex pm (oggi in pensione) è stata sentita a sommarie informazioni il 14 dicembre del 2021 dai pm di Firenze (insieme a quelli di Caltanissetta) nell'ambito delle indagini in corso sulle stragi nelle due città. La contestazione di dichiarazioni reticenti contro la pm che per decenni ha scritto la storia della magistratura italiana ha il sapore di una beffa ma, a leggere l’avviso di chiusura indagini, sembrerebbe quasi un imbarazzante atto dovuto.
TUTTO PARTE
da un verbale e da un articolo di 30 anni fa e dal libro autobiografico del 2021. Iniziamo dal verbale. Il 18 febbraio 1994 Ilda Boccassini, giovane pm applicata su sua richiesta a Caltanissetta alle indagini sulle stragi di mafia del 1992, interroga il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi, vicinissimo al boss Raffaele Ganci, a sua volta vicinissimo al capo dei capi: Totò Riina. Subito le svela una confidenza ricevuta da Riina. Gli avrebbe detto che “secondo gli accordi stabiliti con Dell’utri che faceva da emissario per conto di Berlusconi, arrivavano a Riina 200 milioni l’anno in più rate, in quanto erano dislocate a Palermo più antenne”. Il racconto di Cancemi proseguiva così: “Non sono in grado di dire con certezza che vi erano contatti diretti tra Riina e Dell’utri, oppure se questi contatti fossero filtrati da emissari, ma una cosa è certa (...) Riina era in contatto con Dell’utri e quindi con Silvio Berlusconi”. Cancemi aggiungeva: “Ho assistito più volte alla consegna di queste rate dei 200 milioni che arrivavano dal Nord (...) venivano pagate sempre con denaro contante in rate da 40-50 milioni. Queste rate venivano consegnate non so da chi a Pierino Di Napoli, reggente della famiglia di Malaspina”.
Le dichiarazioni di Cancemi, tutte da verificare certo, erano esplosive: siamo a un mese dalle elezioni del 1994 che porteranno Berlusconi a Palazzo Chigi. La Cassazione del processo Dell’utri poi le ha ritenute “complessivamente prive di un’autonoma significatività probatoria”, ma è evidente che si trattasse dell'indagine più importante e segreta del momento. Immediatamente la Procura affida la delega ai Carabinieri. La squadra coordinata dall'allora capitano Sergio De Caprio, detto Ultimo, che aveva arrestato Riina, inizia a pedinare Pierino Di Napoli, il personaggio chiave della storia narrata da Cancemi, l'ultimo anello della catena delle mazzette da Milano fino al boss Riina. Purtroppo arriva lo scoop di Repubblica. Il 20 e 21 marzo del 1994 i giornalisti Attilio Bolzoni e Giuseppe D’avanzo pubblicano i contenuti del verbale di Cancemi.
In tanti si sono chiesti in questi anni chi sia stata la fonte che con la sua azione inevitabilmente danneggiò le indagini.
Nell’ottobre 2021 Ilda Boccassini pubblica la sua autobiografia ‘La stanza numero 30’ per Feltrinelli e ritorna sull’episodio che ancora le brucia: “risultato dell’articolo era stato che Pierino Di Napoli era diventato immediatamente uccel di bosco. Con il che era sfumata ogni possibilità di intercettare il misterioso ‘emissario del nord’ e documentare in tempo reale la consegna di denaro in tempo reale a Ganci”, sempre che il racconto di Cancemi fosse veritiero. La ex pm, ottima amica di D’avanzo, racconta di avere provato più volte negli anni a chiedere il nome della sua fonte e “proprio pochi giorni prima della sua morte improvvisa (avvenuta il 30 luglio 2011), alla mia ennesima sollecitazione, finalmente mi raccontò cos’era avvenuto diciassette anni prima”. D’avanzo era stato chiamato in tarda ora da una persona che conosceva bene. La fonte gli aveva mostrato i verbali permettendogli di prendere appunti. Stranamente era in stato di agitazione, fatto inusuale per il ‘mister x’ solitamente freddo.
Chi era? Scriveva la ex pm: “Niente nomi, perché Peppe non c’è più e perché il suo interlocutore mi conosce bene. Forse sarebbe importante per tutti se volesse confrontarsi sui motivi che lo hanno spinto ad agire in quel modo”. I pm di Firenze hanno deciso di andare a fondo. Sempre in coordinamento con la Procura di Caltanissetta hanno sentito anche l’altro giornalista autore dello scoop: Attilio Bolzoni. Il cronista a differenza del magistrato in pensione può opporre il segreto professionale. Quello scoop era stato il frutto anche del suo lavoro sul campo a Palermo ma lo stesso Bolzoni in tempi non sospetti aveva reso omaggio al suo amico, collega e compagno di giri in bici sul fatto che fu D’avanzo a fare l’ultimo miglio quella volta.
“La stanza numero 30” Nel suo libro l’ex pm scrive di aver saputo chi nel ’94 passò a “Rep” il verbale che rovinò l’indagine, ma nel ’21 in Procura non parlò
BEN DIVERSA la posizione di Boccassini che nel libro aveva fatto capire di conoscere la fonte di D’avanzo. L’ex pm è stata ascoltata a sommarie informazioni il 14 dicembre 2021. Non ha svelato il nome ed è stata indagata in un fascicolo a parte: il numero 11.460 del 2022. Pochi giorni fa ha ricevuto l'avviso di conclusione delle indagini dove le contestano “l'articolo 371 bis comma 1 in relazione all'articolo 384 ter del codice penale”. Per i pm quindi la reticenza nella deposizione sarebbe aggravata dal tipo di procedimento all’interno del quale fu resa. I pm citano due procedimenti penali: il 4703 del 2020 della Procura di Firenze, cioè l’indagine aperta allora contro Berlusconi e Dell’utri per l’ipotesi di concorso nelle stragi del 1993 a Firenze e Milano. Indagine poi chiusa su richiesta dei pm e riaperta nel 2022, tuttora in corso contro il solo Dell’utri dopo la morte di Berlusconi. Viene citato tra i procedimenti per i quali Boccassini fu sentita allora anche il numero 2756 del 2021 di Caltanissetta ma non è dato sapere chi sia stato indagato in quel fascicolo. A procedere contro Boccassini comunque è solo Firenze. Per i procuratori aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli “taceva ciò che sapeva intorno ai fatti sui quali veniva sentita”. Per l’esattezza “non forniva il nominativo della fonte che aveva informato il giornalista Giuseppe D'avanzo, secondo il racconto che quest'ultimo le aveva fatto in un colloquio privato, dei contenuti del verbale reso dal collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi il 18 febbraio 1994 al pm di Caltanissetta (…) riportati negli articoli pubblicati sul quotidiano La Repubblica del 20 e 21 marzo 1994 a firma di D'avanzo e Bolzoni”. Ilda Boccassini ha ora 20 giorni per chiedere di essere sentita dai pm con l’avvocato di fiducia Paolo Della Sala per evitare la richiesta di rinvio a giudizio. Al Fatto il legale non ha voluto rilasciare dichiarazioni.