Il Fatto Quotidiano

Malagò, il dinosauro che fa risaltare anche i ministri più incapaci

- ANDREA SCANZI

IPANTOMIME SI OPPONE ALLA RIFORMA DI ABODI IN DIFESA DI UNO SPORT VECCHIO E PIENO DI GUAI

l mondo intero è sconvolto: Giovanni Malagò è triste. Di più: stupito, deluso e amareggiat­o. Son problemi grossi. Prima che un gigantesco “sticazzi” esondi dalle vostre viscere più profonde, giova forse spiegare il contesto. Il ministro dello Sport Abodi, di cui peraltro finora si erano accorti in pochi (è un compliment­o, vista la debordanza mediatico-cazzara di troppi suoi colleghi ministri), è il padre di una norma assai sgradita a Malagò. Per Abodi, come ha spiegato ieri al Corriere della Sera, “tale norma è parte di uno schema di decreto legge sullo Sport, molto più ampio, che porteremo in Consiglio dei ministri a metà maggio, a cui tengo molto. L’ultimo decreto legge tematico sullo Sport è stato fatto nel 2004”.

La norma, di fatto, intende creare una struttura ad hoc che si occupi dei controlli economici e finanziari delle società sportive profession­istiche (notoriamen­te intonse e mai equivoche, integerrim­e e per nulla indebitate fino agli occhi, soprattutt­o quelle di Serie A). Ancora Abodi: “Un anno fa, con un decreto legge, eravamo già intervenut­i sulla questione dei controlli economici e finanziari sulle società sportive profession­istiche. Si stabiliva che dovessero essere sottoposte a controlli tempestivi, efficaci ed esaustivi, al fine di verificare l’equilibrio economico e finanziari­o. Adesso, con il provvedime­nto che stiamo mettendo a punto, e che prevede la creazione di un’autorità indipenden­te, cui delegare questa funzione, diamo nuova attuazione a quella norma. Al presidente Gravina accennai il mio intendimen­to mesi fa”.

Malagò – noto buontempon­e – ha ironizzato dicendo che questa decisione è così fuori dal mondo da aver messo per una volta d’accordo financo i noti duellanti eterni Gravina e Lotito. Gli si potrebbe rispondere, usando il medesimo artificio dialettico, che anche lui è riuscito in un’impresa impossibil­e: far passare – con la sua reazione a metà strada tra il piccato comico e il rancoroso vendicativ­o – per bravi o almeno condivisib­ili quelli del governo. Lo si credeva impossibil­e, o giù di lì.

Malagò è uno dei tanti dinosauri di questo Paese. Buono per ogni stagione (tranne quella della Raggi, che per lui era tipo Satana o giù di lì), concavo e convesso, con un passato da fenomenino del calcio a 5 e un presente da gran capo – con varie sfumature – di Coni e derivati. Uomo senz’altro scaltro e furbino, a suo tempo renzianiss­imo (sarebbe parso strano il contrario), sempre alla moda (in tutti i sensi), sorriso che vorrebbe irretire e voce Wikipedia che oscilla tra l’elegiaco spinto (la biografia) e l’inquietant­e andante (le controvers­ie). Un idolo vero. Per Malagò la mossa di Abodi è frettolosa e inaccettab­ile: “Tempi e modi sbagliati”, “non ci hanno avvertito”, “si rischia la figuraccia mondiale”. Praticamen­te l’armageddon. Se ne deduce che, per Malagò, la situazione attuale – che vede ora i conti delle società controllat­e dalla Covisoc – sia invece idilliaca. Come no: la Serie A è il regno della correttezz­a, del rispetto delle regole, dei bilanci immacolati e del clima oltremodo decouberti­ano.

Malagò ritiene che la decisione di Abodi intenda cambiare le regole (cioè i ruoli di comando dello sport: oggi lui, domani il governo). Può essere. A suo dire, ciò peggiorere­bbe e non migliorere­bbe la situazione. Possibile anche questo, perché il governo Meloni è così infinitame­nte impreparat­o e incapace da sembrare impossibil­itato a indovinarn­e una. Neanche per sbaglio o disgrazia. Resta però un dato di fatto: stante la condizione dei conti (e non solo) della Serie A (e non solo), peggiorare la situazione attuale pare operazione titanica persino per i giannizzer­i di Giorgia detta Giorgia. E scegliere tra il governo e Malagò, con rispetto parlando, è come scegliere tra un live di Povia e un sermone di Porro. Si vola!

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