Il Fatto Quotidiano

“La scuffiata di Jannacci, la profezia di Gino Paoli e il Sistina trovato vuoto...”

Il cantautore milanese in autunno farà un tour nei teatri: “Magari ricanto Jeeg Robot”

- » Alessandro Ferrucci Secondo Enzo Jannacci suo padre, grande musi-

Alcune certezze mascherate da automatism­i. A maggio nasce un fiore, Rosalina è grassottin­a, Nina è un dolce amore e soprattutt­o la domenica è da quarantadu­e anni bestiale (“A un certo punto non la sopportavo più e Paoli lo aveva previsto”). Fabio Concato è un prisma mascherato da colore fisso: la sua tonalità di voce è apparentem­ente costante, sempre la stessa, sia se è ironica, seria, seriosa, faceta o pervasa dal dolore; in realtà varia, gioca sulle sfumature, sui paradossi, sull’autoironia figlia (anche) di una lunga ed elaborata autoanalis­i; gioca su quel personaggi­o stratifica­to da decenni di carriera (“ma non ne posso più di venir definito elegante”) e da decenni di concerti.

Dal vivo scende dal palco, si sottrae al riflettore, si siede tra il pubblico, racconta di sé e “sono totalmente me stesso, quando canto ancora di più; sono le uniche due ore, nell’arco di una giornata, dove non conosco filtri e non vivo mediazioni. Lì sto bene”.

Ha un approccio pirandelli­ano

(sorride) Quando mi racconto ho bisogno di sentirmi in un contesto salottiero, in confidenza.

Quanto le è servita l’esperienza al Derby di Milano?

Sono partito da lì; magari ci fosse ancora...

Ci tornerebbe?

È stata una palestra meraviglio­sa, con il pubblico a venti centimetri, la rottura di maroni dello champagne stappato; ogni spiffero emotivo in faccia e soprattutt­o il privilegio di stare accanto a una serie di fuoriclass­e.

È parte della seconda generazion­e del Derby

Quando Diego Abatantuon­o ancora si occupava delle luci per gli spettacoli dei Gatti di Vicolo Miracoli e la mamma di Diego stava al guardaroba; poi c’erano Felice Andreasi, Enzo Jannacci, Massimo Boldi e Teo Teocoli; magari ogni tanto vedevamo Franco Califano: arrivava, cantava due o tre canzoni, rimorchiav­a come un

dannato e se ne andava. Lei com’era sul palco?

Emozionato, ma lo sono pure oggi. E aggiungo: per fortuna; se non fossi emozionato il mio diventereb­be un mestiere, mentre deve restare un’attività ludica, senza dare del “tu” al palco.

Altrimenti?

Si rischia di cadere nell’errore o nell’intoppo.

Sul palco usa il gobbo?

No, mai.

Ha gli auricolari?

Neanche; li ho provati quindici anni fa e mi sentivo isolato dal pubblico.

Caso raro.

Magari per il prossimo tour teatrale utilizzerò un gobbetto, perché ho pensato di ridare vita a vecchie canzoni, quelle meno conosciute; (pausa) ovvio, i miei dieci o dodici successi non li tocco, o il pubblico mi mena. La prima hit è stata A Dean Martin.

Se non ci fosse stato Renzo Arbore credo che non sarebbe arrivata a nessuno. E invece la trasmettev­a per radio ed è cambiata la mia carriera.

Spesso il suo nome e cognome è accompagna­to dall’aggettivo “elegante”.

Ogni tanto penso “che palle”; da un lato mi fa piacere, ma non ho ben capito cosa significa realmente. Sembra limitante.

Eh, anche quello; non lo prendo sempre come un compliment­o, perché io so di non essere elegante.

Ma...

La maggior parte delle persone non lo sa, vede in me solo Fiore di maggio ola Domenica bestiale;(sorride) ogni tanto qualcuno si sbaglia e la chiama Maledetta domenica, oppure mi chiede di cantare il Gabbiano di maggio.

Lapsus.

In questi anni ci sono stati pure gli scambi di persona.

Tipo?

Un pomeriggio mi trovo a Napoli per un concerto, con la band ci sediamo in un bar; arriva un signore, si ferma, si entusiasma: “Non ci posso credere di averla incontrata”. “La ringrazio”. “Che gioia, sono un suo grandissim­o fan”. “La ringrazio ancora”. A quel punto allarga le gambe, con la mano mima il microfono e inizia a cantare “prendi una donna, trattala male”...

È Teorema di Marco Ferradini...

Ho il rimpianto di non averlo filmato; (sorride) in quel momento ho pensato a Jannacci quando cantava “se me lo dicevi prima!”.

‘‘ Ho iniziato al Derby. Lì c’era Califano che arrivava, rimorchiav­a e andava via

cista jazz, ha cambiato l’umorismo a Milano...

Era un uomo timido, introverso eppure molto buffo: oltre al musicista, avrebbe potuto intraprend­ere la carriera di attore, il problema è stata la sua infinita insicurezz­a.

Insicurezz­a in parte trasmessa?

Credo di sì: sono famoso per non aver mai sgomitato, per non aver mai rotto le scatole; per questo spesso mi autoanaliz­zo.

Jannacci di famiglia. Per un bel periodo è stato spesso a casa nostra; (pausa) è stata una fortuna perché Enzo è stato un vero genio...

Lo percepiva nitidament­e.

Io sì, mentre mio padre gli ripeteva: “Potresti essere financo un jazzista, ma sei troppo schizzato”; arrivava a casa, si piazzava al piano e iniziava con le sue evoluzioni. E papà: “Rallenta, rallenta!”; (allevia il tono) Enzo è stato l’unico artista che si è presentato al funerale di papà. Non me lo aspettavo.

Uomo con la memoria giusta.

Direi di sì, compreso quando mi ha sfondato la barca a vela.

Come?

Ero a Viserba in provincia di Rimini, dove mio nonno aveva una casa; a un certo punto arriva Enzo per salutare papà ed era insieme a Gil Cuppini (grande batterista). Passano in spiaggia e vedono me e mio fratello mentre aggeggiamo con una piccola barca a vela, velocissim­a: “È tua? Possiamo farci un giretto?” “Se la sapete portare...”.

Alla fine?

Escono e dopo un quarto d’ora tornano con l’albero spaccato, loro due sporchissi­mi, io e mio fratello incazzati: “Cosa è successo?” “Vabbè, ho scuffiato”. E poi aggiunge alcune frasi incomprens­ibili, in perfetto stile Jannacci.

Alcuni artisti scindono la parte artistica da quella personale. Lei è scisso?

Non ci ho mai pensato; (pausa) già sono scisso di mio, sono molto umorale, mi capita di stare tranquillo e poi mi arriva un pensiero e cambia tutto, tanto da costringer­mi a riflettere a lungo. Da questo punto di vista sono di complicata gestione. Invece sul palco sono in tutto io...

Sul palco potrebbe

Ufo Robot...

(Divertito, poi serio) Ora ci penso. Quasi quasi la propongo nella prossima tournée.

Nella sigla del cartone è uno dei coristi...

E c’era pure Marco Ferradini, è stata una delle prime incisioni.

portare Toni Servillo rivendica l’importanza della noia.

Con Servillo ci stimiamo reciprocam­ente e la noia è fondamenta­le; le pause, pure in musica, sono importanti, ti permettono di valutare, scremare, capire, trovare l’intuizione giusta; (ride) le pause sono anche pericolose.

A cosa si riferisce?

È successo tanti anni fa, durante un concerto al Sistina di Roma: era il momento dei bis, quindi scendo dal palco, vado nei camerini, trovo alcune persone e scambio due chiacchier­e. Perdo totalmente la cognizione del tempo. Dopo un po’ saluto: “Ho i bis!”. Risalgo sul palco e trovo il teatro oramai vuoto: erano passati quindici minuti.

E lei?

Resto immobile e vedo Giovannini (patron del Sistina) che da dietro il sipario mi fa cenno di andarmene.

Ci è rimasto male...

Solo male? Malissimo! Da allora, quando esco per il bis, ho l’angoscia possa ricapitare, quindi resto via pochi secondi.

Con Bertoli ha inciso

Chiama piano... Canzone stupenda, ma non c’entro nulla.

C’è dentro alla perfezione.

Storia commovente: nei primi anni 90 mi chiama Bertoli: “Fabio, devo essere sincero: ho provato con altri venti artisti e non voglio farti sentire la ruota di scorta”. “Che succede?” “Ho cercato di coinvolger­e qualcuno bravo, famoso, che sta sempre in television­e e può darmi una mano” “E...?” “Hanno rifiutato tutti. Volevo sapere se eri disposto...” “Mandami il brano, se mi piace la cantiamo insieme” “Davvero?”, e il suo tono era tra il meraviglia­to e lo scandalizz­ato. A quel tempo ero alto in classifica. L’ho amata, lui mi ha pure detto che potevo cambiare qualcosa, invece era giusta.

Sono 40 anni dal suo album più celebre.

In quel 1984 mi sono accorto del successo quando ho sentito quasi tutte le canzoni passare per radio; (pausa) periodo straordina­rio, aspettavo la prima figlia ed ero innamorato pazzo di mia moglie.

Cosa è cambiato con la svolta?

Mi sono un po’ spaventato; però alla fine l’ho gestita bene, anche perché ero in terapia, quindi più equilibrat­o, più rassicurat­o.

Arrivava dalla gavetta .... E da un altro successo, quello dell’82 con Domenica bestiale: altro disorienta­mento; Gino Paoli mi disse: “Questa canzone farà la fine di Sapore di sale: a un certo punto non ne potrai più, perché te la chiederann­o sempre. E non avrai più voglia di cantarla”.

Quindi l’ha odiata?

Sono arrivato a trovarla insopporta­bile, tanto da non metterla in scaletta in una tournée; ho rischiato di prendere gli schiaffoni...

Da chi?

Dopo un concerto incontro un signore fuori la biglietter­ia: “Scusi Concato, non sono d’accordo: a me non interessa se si vuole disintossi­care da Domenica bestiale, io ho pagato il biglietto pure per sentirla”. Qualche anno dopo ho capito che Domenica bestiale è canzone per antonomasi­a: leggera senza essere banale, arriva come acqua fresca senza essere acqua fresca. Oggi lo ritengo un grande privilegio.

È pure in Loro di Sorrentino.

Ricordo la telefonata di Paolo: “Non so se ti fa piacere, ma Berlusconi e Veronica Lario si sono fidanzati con la tua canzone. È importante per i due. Te la senti di cantarla sul set?”.

Quante volte l’ha suonata? Sorrentino non risparmia sui ciak... (Ride, a lungo) La scena l’ho ripetuta almeno venticinqu­e volte ed ero bagnato fradicio, perché prevedeva un temporale.

A rischio polmonite. Sotto i vestiti ero tutto incerottat­o, avvolto nella pellicola; però mi sono divertito di brutto.

Fiore di maggio

è stata scritta per la prima figlia. La seconda non ha un successo così grande: si è ingelosita?

Un giorno la piccola si è sfogata: “Mi dispiace papà, la canzone su di me non ha avuto lo stesso clamore”; questa frase non era riferita a se stessa, ma alla mia carriera, era dispiaciut­a per me (sorride); è elegante come il padre...

Nel 1979, a Milano, c’è stato un concerto per Demetrio Stratos. Per molti della sua generazion­e è stato un momento di passaggio...

(Silenzio) Ero tra il pubblico.

E... ?

Avvolto da un clima surreale, con Demetrio morto da poco; con lui ho parlato solo un paio di volte, ma era un uomo eccezional­e, con delle doti canore fuori dal normale, una ricerca totale e incredibil­e; dentro al mio cuore non lo ha rimpiazzat­o nessuno.

Lei chi è?

Oltre a elegante? Sono un complicato, tendo sempre ad analizzare ogni lato e casco nei bilanci che non sono sempre positivi.

‘‘ La vera svolta è arrivata nel 1984 e mi sono un po’ spaventato

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In alto, Concato durante la sua ultima tournée; al centro, a Sanremo
FOTO ANSA/ FOTOGRAMMA Sul palco In alto, Concato durante la sua ultima tournée; al centro, a Sanremo
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A sinistra, con Anna Oxa; sotto, con Baudo; in basso, con Michele Zarrillo
FOTO ANSA Colleghi A sinistra, con Anna Oxa; sotto, con Baudo; in basso, con Michele Zarrillo

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