Ilva, altri 150 mln per tenerla in piedi tolti alle bonifiche
La notizia era già stata comunicata ai sindacati, ma ora è ufficiale: il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha detto al Sole 24 Ore che all’ilva gestita dai commissari di Acciaierie d’italia arriveranno questa settimana 150 milioni “provenienti dal patrimonio destinato” per tenere aperta la baracca. Una formula che significa una cosa sola: questi soldi, come altri 150 milioni nel 2022, sono sottratti alle bonifiche dell’area dello stabilimento di Taranto per sostenere la liquidità dell’azienda moribonda: stavolta però, a differenza di due anni fa, nessuno pare lamentarsi della cosa, nonostante “patrimonio destinato” sia formula abbastanza esplicita sull’uso di quei fondi.
Conviene partire dall’inizio. Tutto nasce dal sequestro degli impianti e dalla decina di decreti legge (più qualche Dpcm) “salva-ilva” che si inseguono dal 2012: da un lato si doveva bonificare l’area dell’acciaieria e rendere più “pulita” la produzione, dall’altro bonificare il Sito di interesse nazionale (Sin) di Taranto, cioè vaste aree della città e del mare. Quest’ultimo compito è affidato da oltre un decennio a un commissario ad hoc, l’ultimo – Vito Felice Uricchio – s’è insediato da un paio di mesi: è forse riduttivo dire che nel Sin si è fatto poco e niente, specie negli ultimi due anni. Il lavoro di Uricchio coincide solo in minima parte con quello di cui parliamo qui, cioè dei fondi destinati alla bonifica dell’ilva. Quei soldi, il “patrimonio destinato”, sono quelli sequestrati ai Riva, gli ex proprietari, che poi hanno transato coi commissari dell’ilva in amministrazione straordinaria: alle bonifiche – secondo il principio “chi inquina paga” – erano stati assegnati 1,157 miliardi di euro, cifra probabilmente insufficiente alla bisogna, a fine 2023 ne rimanevano in cassa la metà.
QUEI SOLDI
sono arrivati sui conti dei commissari tra 2017 e 2018, proprio mentre la gestione del gruppo siderurgico – riassumendo molto – passava all’azienda che si sarebbe chiamata Acciaierie d’italia (Arcelormittal con la pubblica Invitalia socio di minoranza), oggi finita anch’essa in amministrazione straordinaria. A quel punto i commissari di Ilva mantenevano la proprietà dell’impianto, affittato ai gestori, e la titolarità di 18 interventi di bonifica esterni alla fabbrica, 13 dei quali compresi in tutto o in parte nel Sin di Taranto. Il “patrimonio destinato” alle bonifiche a oggi è diviso così: 540 milioni che i commissari devono dare ad Acciaierie d’italia per interventi di decontaminazione e bonifiche del sottosuolo nell’ambito del “Piano ambientale” per la fabbrica, 467 milioni di pertinenza dei commissari per la bonifica e la messa in sicurezza di aree esterne (in parte incluse nel Piano ambientale), 150 milioni presi dal governo Draghi per la “decarbonizzazione dell’ilva”, palesemente di là da venire.
Ora, come detto, il patrimonio destinato cala di altri 150 milioni : evidentemente si dovrà rinunciare ad alcuni lavori visto che i soldi risultavano “allocati” – cioè avevano una destinazione – al 100% all’interno dell’impianto e al 95% nelle aree esterne. Nel frattempo il piano ambientale di Ilva è ovviamente in ritardo. Nel 2012 doveva concludersi in tre anni, poi di proroga in proroga si decise che la scadenza era agosto 2023: il monitoraggio Ispra aggiornato al 31 dicembre scorso segnala come incomplete prescrizioni tipo la rimozione dell’amianto dalla fabbrica; la gestione delle acque meteoriche sia nell’area del mare che negli impianti a caldo; la gestione di fanghi acciaieria, fanghi d’altoforno e polverino d’altoforno.
Se la bonifica se la prende comoda, va
NON È FINITA ADESSO L’UE DEVE DIRE SÌ A 320 MILIONI DI PRESTITO
detto che la produzione non è da meno: Taranto è autorizzata a produrre “solo” 6 milioni di tonnellate d’acciaio l’anno, ma viaggia a un ritmo da 1,3 milioni con un solo altoforno in funzione, non ha un euro in cassa e non può chiedere soldi alle banche perché non può dare garanzie (l’impianto è sotto sequestro). E così il governo, oltre a concedere cassa integrazione, si prende altri 150 milioni dalle bonifiche per tirare la carretta, sperando che l’ue autorizzi subito il prestito-ponte da 320 milioni (la trattativa parte questa settimana) e di trovare in fretta un partner industriale. Il nuovo piano messo a punto dai tre nuovi commissari di ADI disegna nel futuro una mini-ilva da 6 milioni di tonnellate di acciaio grazie a un “piccolo” altoforno tradizionale (2 milioni di tonnellate) e a due forni elettrici (4 milioni): oltre alla fortuna, serviranno molti soldi, cioè le banche, e che i sindacati accettino migliaia di esuberi.