I giornalisti esteri: “Ai leader candidati, altrove tirerebbero i pomodori in faccia”
“Se succedesse in Germania, li prenderebbero a pomodori in faccia”. Giovanni Di Lorenzo è un giornalista italiano che da 54 anni vive in Germania, dove è direttore del settimanale politico Die Zeit. Lo raggiungiamo chiedendogli un giudizio su una pratica tutta italiana: solo qui i leader di partito e persino la presidente del Consiglio fanno a gara a candidarsi alle Europee, dichiarando senza problemi che la loro corsa sarà di pura facciata, visto che lasceranno il posto a qualcun altro. Se succedesse in Germania, appunto, finirebbe a pomodori in faccia.
Certo, a Berlino hanno i loro problemi con le candidature, ma di tutt’altra natura: “Qui ha fatto discutere l’afd – spiega Di Lorenzo – il cui capolista Maximilian Krah è accusato di aver presto soldi dalla Russia mentre un suo assistente è stato arrestato per spionaggio a vantaggio della Cina. Ma non c’è nulla di simile al caso italiano, sarebbe impensabile in Germania”. E invece sulla nostra scheda ci saranno Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Elly Schlein, Carlo Calenda e Matteo Renzi (l’unico che assicura di correre davvero per Bruxelles). Non è una novità, ma la stranezza rimane: “Io manco in Italia da 54 anni – prosegue Di Lorenzo – e perciò mi sono sempre chiesto se gli italiani siano contenti di votare qualcuno che sanno benissimo non andrà all’europarlamento. Non mi sono dato una risposta: i leader forse pensano che così avranno più voti ma io invece, da elettore, sarei portato a non andare a votare”. Anche in Spagna ci si meraviglia. Daniel Verdù è corrispondente a Roma per El Paìs, il più noto tra i quotidiani, e racconta un aneddoto: “L’altro giorno mi hanno chiamato dalla redazione perché non capivano come mai Meloni si candidasse, mi hanno chiesto cosa stesse succedendo nel governo. Li ho tranquillizzati dicendo che in Italia è la normalità e non sarebbe cambiato nulla”. Ci osservano perplessi, insomma: “È un rituale italiano. Qualcuno potrebbe considerarlo una truffa agli elettori – ci dice Verdù – ma il fatto che ormai tutti gli italiani siano consapevoli di come funziona rende questa pratica quasi parte del gioco. Di certo resta un’anomalia”.
PER RELATIVIZZARE
ancor di più la strana concezione italiana della candidatura è utile sentire anche Aleksandar Brezar, giornalista con esperienza a Bruxelles che oggi lavora a Roma per il colosso Euronews: “È piuttosto inusuale. Capisco che i leader in questo modo vogliano trainare le liste e portare più persone a una votazione in cui l’affluenza probabilmente sarà bassa, ma che messaggio stai mandando ai tuoi elettori?”. Al netto di un notevole pelo sullo stomaco, la risposta è chiara: “Nella migliore delle ipotesi e senza voler parlare di disonestà, sarebbe comunque un gesto involontariamente irrispettoso verso gli elettori”. Brezar, che ha lavorato anche con la Francia, non ricorda casi analoghi: “Potrebbe succedere che qualche leader lo faccia, ma comunque non accadrebbe mai con la stessa sistematicità con cui questo fenomeno avviene in Italia”. Anche perché non si parla di semplici candidature, legittime, ma di candidature per finta: “Non escluderei che in certi Paesi possa intervenire qualche Corte per evitare questi comportamenti”, chiude Brezar. Fantascienza. Meglio perdersi in pluri-candidature, soprannomi e sconosciuti che finiscono a Bruxelles grazie alle preferenze prese da qualcun altro.