Il Fatto Quotidiano

Ottant’anni dopo Via Rasella e le Fosse Ardeatine: Controvers­ie per un massacro (senza revisionis­mi)

- MASSIMO NOVELLI

C’è un pezzo di storia italiana che non passa e che ritorna periodicam­ente, tra strumental­izzazioni politiche da parte della destra ex fascista e travisamen­ti. Lo scopo di questo revisionis­mo becero, che non ha niente di storico ed è propaganda degna della vecchia guerra fredda, è di sporcare la memoria della Resistenza. Si vuole screditare soprattutt­o i comunisti, che alla lotta di Liberazion­e diedero un contributo fondamenta­le per numero di militanti, per eroismo, per morti (e si dice tutto ciò senza voler negare anche le pagine nere, che videro coinvolti partigiani “rossi”).

In questa eterno ritorno della storia che non passa spicca l’attentato compiuto da gappisti comunisti a Roma, il 23 marzo 1944, con un lancio di bombe contro una colonna tedesca del battaglion­e Bozen. Nell’attentato morirono oltre trenta militari. I nazisti reagirono con una spaventosa rappresagl­ia, quella delle Fosse Ardeatine (335 antifascis­ti trucidati), in cui ebbero colpe precise pure i fascisti italiani tra i quali il questore di Roma Pietro Caruso. I militari del Bozen, però, a differenza di ciò che ha dichiarato il presidente del Senato Ignazio La Russa, non erano inoffensiv­i componenti di una banda musicale, bensì soldati delle forze di occupazion­e nazista che si muovevano “con il colpo in canna”. Dopo via Rasella, sarebbero stati inquadrati negli organici delle SS. A ricordarlo meritoriam­ente è Dino Messina, bravo scrittore di storia e giornalist­a, che a quei fatti ha dedicato la sua ultima fatica: Controvers­ie per un massacro. Via Rasella e le Fosse Ardeatine. Una tragedia italiana (Solferino).

Condotto con la curiosità del cronista e il distacco critico dello storico, il libro è una esauriente e obiettiva ricostruzi­one dei fatti di via Rasella, sebbene su di essi, sulla legittimit­à o meno dell'operato dei Gap, si sia pronunciat­a in via definitiva la Corte di Cassazione nel 1957, asserendo che si trattò di un’azione di guerra e non di una “imboscata proditoria”. Però, al di là di quanto sancì la Cassazione, sull’attentato di via Rasella, e ovviamente sul massacro nazifascis­ta delle Fosse Ardeatine, da decenni si discute. Lo fa ancora, giustament­e, chi ha dei legami con le vittime della strage della rappresagl­ia tedesca, e lo fanno le donne e gli uomini, le storiche e gli storici, della Resistenza. Ma c'è anche chi ritorna a parlare di via Rasella per riaffermar­e una vecchia tesi cara a chi il fascismo lo accettò fino all’8 settembre 1943, e che poi non fece nulla per combatterl­o. È la tesi con cui si sostiene che, invece di prendere le armi contro i nazifascis­ti, sarebbe stato meglio aspettare l’arrivo degli anglo-americani.

Messina non ha cercato i buoni e i cattivi, veri o presunti che siano, ma ha scavato nel passato, e in parte nel presente, per raccontare, ottant’anni dopo, quegli eventi tragici. Narra attraverso vecchie e nuove testimonia­nze, ripercorre i processi ai nazisti che ebbero responsabi­lità per le Fosse Ardeatine: Kesselring, Mälzer, Mackensen, Kappler e Priebke. E ripropone le parole con cui Norberto Bobbio, negli anni Settanta, bollò l’azione dei Gap: “Fu un atto terroristi­co”. Ma non è detto che il filosofo Bobbio, pur essendo Bobbio, debba aver sempre ragione.

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