Ottant’anni dopo Via Rasella e le Fosse Ardeatine: Controversie per un massacro (senza revisionismi)
C’è un pezzo di storia italiana che non passa e che ritorna periodicamente, tra strumentalizzazioni politiche da parte della destra ex fascista e travisamenti. Lo scopo di questo revisionismo becero, che non ha niente di storico ed è propaganda degna della vecchia guerra fredda, è di sporcare la memoria della Resistenza. Si vuole screditare soprattutto i comunisti, che alla lotta di Liberazione diedero un contributo fondamentale per numero di militanti, per eroismo, per morti (e si dice tutto ciò senza voler negare anche le pagine nere, che videro coinvolti partigiani “rossi”).
In questa eterno ritorno della storia che non passa spicca l’attentato compiuto da gappisti comunisti a Roma, il 23 marzo 1944, con un lancio di bombe contro una colonna tedesca del battaglione Bozen. Nell’attentato morirono oltre trenta militari. I nazisti reagirono con una spaventosa rappresaglia, quella delle Fosse Ardeatine (335 antifascisti trucidati), in cui ebbero colpe precise pure i fascisti italiani tra i quali il questore di Roma Pietro Caruso. I militari del Bozen, però, a differenza di ciò che ha dichiarato il presidente del Senato Ignazio La Russa, non erano inoffensivi componenti di una banda musicale, bensì soldati delle forze di occupazione nazista che si muovevano “con il colpo in canna”. Dopo via Rasella, sarebbero stati inquadrati negli organici delle SS. A ricordarlo meritoriamente è Dino Messina, bravo scrittore di storia e giornalista, che a quei fatti ha dedicato la sua ultima fatica: Controversie per un massacro. Via Rasella e le Fosse Ardeatine. Una tragedia italiana (Solferino).
Condotto con la curiosità del cronista e il distacco critico dello storico, il libro è una esauriente e obiettiva ricostruzione dei fatti di via Rasella, sebbene su di essi, sulla legittimità o meno dell'operato dei Gap, si sia pronunciata in via definitiva la Corte di Cassazione nel 1957, asserendo che si trattò di un’azione di guerra e non di una “imboscata proditoria”. Però, al di là di quanto sancì la Cassazione, sull’attentato di via Rasella, e ovviamente sul massacro nazifascista delle Fosse Ardeatine, da decenni si discute. Lo fa ancora, giustamente, chi ha dei legami con le vittime della strage della rappresaglia tedesca, e lo fanno le donne e gli uomini, le storiche e gli storici, della Resistenza. Ma c'è anche chi ritorna a parlare di via Rasella per riaffermare una vecchia tesi cara a chi il fascismo lo accettò fino all’8 settembre 1943, e che poi non fece nulla per combatterlo. È la tesi con cui si sostiene che, invece di prendere le armi contro i nazifascisti, sarebbe stato meglio aspettare l’arrivo degli anglo-americani.
Messina non ha cercato i buoni e i cattivi, veri o presunti che siano, ma ha scavato nel passato, e in parte nel presente, per raccontare, ottant’anni dopo, quegli eventi tragici. Narra attraverso vecchie e nuove testimonianze, ripercorre i processi ai nazisti che ebbero responsabilità per le Fosse Ardeatine: Kesselring, Mälzer, Mackensen, Kappler e Priebke. E ripropone le parole con cui Norberto Bobbio, negli anni Settanta, bollò l’azione dei Gap: “Fu un atto terroristico”. Ma non è detto che il filosofo Bobbio, pur essendo Bobbio, debba aver sempre ragione.