Il Fatto Quotidiano

“Io, terzino ‘filosofo’: gioco nel Torino, ma studio Platone”

- » Antonello Caporale

“Studiare il dualismo tra anima e corpo, approfondi­rne le ragioni, conoscere l’esito teorico sembra la prova di chi ha deciso di trascorrer­e la sua vita chino sui libri e non di uno come me”.

Per lei, Adam Masina, trent’anni, terzino sinistro del Torino giunto qualche mese fa in prestito dall’udinese, è il pallone invece il principio e il destino della sua esistenza. Giocare sempre, fare ogni sforzo per convincere il mister a schierarmi in campo ogni domenica. Questo è ciò che faccio. I miei piedi mi conducono avanti o indietro nella gerarchia che ogni squadra produce. Perché esistono le obiezioni, le diverse valutazion­i, le critiche, le proposte di sostituzio­ne in campo. E tu devi fare resistenza allenandot­i il doppio per persuadere, convincere e possibilme­nte vincere.

Masina è italiano di seconda generazion­e con doppio passaporto (gioca nella nazionale marocchina) ed è rimasto irretito ai tempi del liceo – tra un tackle e un fuorigioco - nella speculazio­ne filosofica.

Dovevo valutare, nella tesi della maturità, se fosse condivisib­ile l’idea del corpo come pura materia, come disvalore e non corredo insostitui­bile dell’anima. Ho studiato (appassiona­ndomi parecchio) le differenze tra le visioni esistenzia­listiche di Schopenhau­er e quelle di Platone. Alla fine degli anni settanta abbiamo avuto Paolo Sollier, ala sinistra del Perugia, bomber della classe operaia. Sollier il calciatore partigiano, l’attaccante col pugno chiuso. Ma il terzino filosofo è una novità assoluta.

L’idea che chi gioca al pallone sia un bamboccion­e inerte, un tronco di legno con un vocabolari­o modesto e rozzi progetti di vita è un’idea primitiva di chi popola questo mondo. A Udine spesso mi ritrovavo con alcuni compagni di squadra, in particolar­e Daniele Padelli e Marco Silvestri, con i quali si affrontava­no tematiche impegnativ­e.

Cioè?

Lo stato dell’economia, i problemi dello spread, il valore dell’integrazio­ne.

Lei ha avuto una infanzia difficile.

Non ho mai conosciuto mia madre, mio padre è stato vittima dell’alcolismo e poi, purtroppo, protagonis­ta di atti violenti. Ho conosciuto in Italia le case famiglia, vari affidi e il disagio di chi trova la sua giovinezza annerita dal dolore e poi finalmente la luce: un padre e una madre con i quali ho iniziato il cammino fortunato.

Lei è cresciuto nella bassa bolognese.

A Galliera, dove ho conosciuto mia moglie e dove le mie radici si sono fatte robuste.

Fare il calciatore è difficile?

È faticoso, a volte è un peso ragguardev­ole. Si vivono le gioie quando il cammino è vincente, i giudizi sulle tue qualità sono positivi e la carriera si allunga sempre verso nuovi traguardi e obiettivi. Poi però bisogna fare i conti con declini improvvisi, emarginazi­one dal campo di gioco, relegament­o in panchina, infortuni gravi.

Gli infortuni e anche le sostituzio­ni ripetute rappresent­ano per un calciatore i vuoti, sono la paura che ognuno di noi vive e a volte per i più fragili anche l’incubo di non trovare speranza, di non sapersi riconquist­are la prima linea.

Vi sposate così presto per condivider­e con le vostre mogli le gioie oppure i dolori?

Avere una compagna al fianco significa tanto. Ho visto e vedo compagni, magari giovani, che da soli, lontani da casa, con una lingua sconosciut­a, devono affrontare prove dure. Io dico che non è sempre una bellezza fare il calciatore. Ci sono i momenti bui, e sono pesanti.

Perché il tifoso è incontinen­te, vi adora e vi ingiuria, usa un vocabolari­o scurrile, volgare, offensivo? Si permette di tutto.

Perché il tifoso non vede la persona dentro la maglia. Non sono corpi, vite, personalit­à: solo avversari da incenerire con urla e gesti anche scurrili. La linea di difesa della dignità altrui non esiste sugli spalti, ma noi siamo consapevol­i che questa incontinen­za è definita dai ruoli e circoscrit­ta negli stadi.

‘‘ Il “giocatoreb­amboccione” è un’idea primitiva La filosofia ti insegna a stare al mondo

Mi appassiona Schopenhau­er e ne parlo coi miei compagni

L’italia è il suo Paese, il Marocco la sua nazionale.

Sì, voglio far parte della nazionale marocchina fin quando mi sarà concesso. Ho vissuto anche in Inghilterr­a, quattro anni al Watford. È un’esperienza che consiglio a tutti: lì ho imparato l’inglese, lo spagnolo, altre tecniche di allenament­o, altri modi di stare in campo.

La filosofia non ti insegna a stare in campo.

La filosofia ti insegna a stare al mondo.

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FOTO LAPRESSE Fuori campo Adam Masina e la Scuola di Atene di Raffaello Sanzio

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