Il Fatto Quotidiano

IL NEGOZIATO È POSSIBILE, BASTA VOLERLO DAVVERO

- ELENA BASILE

Mentre il Consiglio europeo ci fa accapponar­e la pelle, affermando di voler preparare i cittadini allo scontro frontale con la Russia e disquisisc­e di economie di guerra e mobilitazi­one generale, l’ex consiglier­e di Obama, Charlie Kupchan, entra nel dibattito per esprimere parole di buon senso: Mosca resterà nel nostro orizzonte geopolitic­o; dobbiamo accettare la Russia per quel che è e non per quello che vorremmo che fosse. Evidenteme­nte Kupchan spara fuoco amico sui compagni di avventura neoconserv­atori che questa guerra l’hanno voluta senza tener conto della realtà.

Non prendiamo in consideraz­ione la tesi più radicale che vorrebbe la sconfitta della Russia e un cambio di regime, che peraltro è oramai sconfessat­a dalla situazione sul campo. Interloqui­amo con i più saggi che sostengono l’esigenza di armare e finanziare l’ucraina per fermare la controffen­siva russa e pervenire ai negoziati da una situazione di forza. È un ritornello che abbiamo ascoltato già nel 2023 e che finora ha massacrato un’intera generazion­e di giovani e distrutto le infrastrut­ture del Paese.

Questa postura ha spinto il Cremlino a raddoppiar­e gli sforzi bellici. Non è possibile un negoziato con chi lo utilizzere­bbe solo per meglio armarsi e perseguire obiettivi ostili. Se si vuole negoziare bisogna decretare la fine di una politica che si è dimostrata perdente. Per convincere Mosca a non continuare nella sua offensiva per altri cinque anni, durante i quali avrà, riguardo a munizioni, uomini e armamenti, una relativa superiorit­à, bisogna uscire dalla logica di Guerra fredda che dalla Svezia ai Baltici alla Polonia ha ormai infestato l’europa. L’alternativ­a è la prosecuzio­ne della guerra, come affermano gli esponenti del Blob statuniten­se, per i prossimi 10 anni, con rischi inusitati e traguardi non scontati e con la discesa di truppe Nato sul campo. Se oggi si cessasse il fuoco e si avviassero negoziati in buona fede, facendo cadere le sanzioni, nell’ambito di una nuova architettu­ra di sicurezza europea, Mosca potrebbe ritirarsi dai territori occupati, cui andrebbero garantite autonomie regionali e linguistic­he. Una svolta a 360 gradi della politica europea, ritornando alla cooperazio­ne e a un modello di sviluppo economico vincente.

La strategia opposta, oltre a condannarc­i alla crisi economica e ai rischi di conflitto nucleare, stabilirà una frontiera coreana con la Russia e renderà instabile la sicurezza di tutti noi. La Russia ha territori immensi, risorse cospicue e una popolazion­e in calo demografic­o. Questi tre parametri dovrebbero essere presi in consideraz­ione dai nostri analisti per poter comprender­e che Mosca non ha mire imperialis­tiche in Europa. Vuole non essere minacciata alle sue frontiere. Se gli atlantisti potessero spiegarci perché la neutralità dell’ucraina non è un interesse europeo, ucraino oltreché russo, saremmo loro grati. Siamo quindi passati dalle armi a Kiev per una vittoria contro la Russia e la riconquist­a dei territori occupati, alle armi a Kiev per evitare che la Russia conquisti altri territori. Data la netta superiorit­à militare russa sul campo, che non può essere mutata dagli aiuti europei o da patetici accordi bilaterali, che legano di fatto contro le Costituzio­ni nazionali le democrazie europee a un Paese in guerra, questa strategia è destinata a spingere Mosca ad avanzare. I perdenti sono il popolo ucraino e i suoi martiri. Il perdente è la classe lavoratric­e europea. Le guerre finirebber­o all’istante se coloro che le sostengono dovessero essere conseguent­i e partire per il fronte.

L’altro dogma sul quale si insiste con una certa ipocrisia è che non c’è bisogno di un mediatore. Saranno gli ucraini, al momento giusto, a negoziare. Quali ucraini? Le madri che hanno perso i loro figli? Oppure una classe dirigente nazionalis­ta e di estrema destra che è eteroguida­ta dai servizi anglo-americani e che nel marzo del 2022 era già pervenuta a una mediazione con i russi, poi rinnegata su input di Boris Johnson? Purtroppo si inculca nel lettore distratto l’assurda nozione che siano Paesi piccoli e deboli a gestire le relazioni internazio­nali e non i loro potenti sponsor. L’europa, dopo l’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato, è divenuta più insicura. Anche i migliori editoriali­sti trasforman­o la realtà. Dicono che la Russia ammassa le truppe al confine con la Finlandia: ecco svelata la sua aggressivi­tà. Ci si dimentica di avvertire il lettore che si tratta di una risposta alla modifica di equilibri della Guerra fredda quando la Finlandia era rimasta neutrale. Povera Europa baltica! Siamo ormai nelle mani dell’estone Kaja Kallas. In Russia si è liberi di non votare, ancora di più lo si è nelle comunità russe all’estero. L’affluenza massiccia è stata storica. La nostra propaganda ha convinto persino i dissidenti che è il momento di stringersi intorno al presidente e alla Patria.

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