Il Fatto Quotidiano

Henri Calet Il mistero di un autore “visionario e disperso” troppo ignorato dall’editoria italiana

- MASSIMO NOVELLI

Centovent’anni fa nasceva a Parigi, il 3 marzo 1904, Raymond-théodore Barthelmes­s, meglio noto come Henri Calet. Morto a Saint-paul de Vence il 14 luglio 1953, fu uomo di molte avventure e mestieri. Romanziere amato da André Gide, Valéry Larbaud, Eugène Dabit, e giornalist­a (lavorò a Combat di Albert Camus e Pascal Pia),

Calet faceva parte di quella “grande armata dei dispersi e visionari” di cui parlava Stefano Terra, scrittore e grande giornalist­a anche lui, del quale tra poche settimane uscirà per Oltre Edizioni, grazie a Diego Zandel, dopo decenni di assenza dalle librerie, il bel romanzo La fortezza del Kalimegdan.

Terra ricordò i suoi amici più volte. In una poesia rievocò: “Sono tornato a Parigi per via delle baguettes croccanti/ la nostalgia dei bar-tabac, Auteuil, le porte nei metrò/ e soprattutt­o degli scomparsi soltanto assopiti per me:/ Henri Calet, Georges Henein, Albert Camus e Cossery [Albert Cossery]”. Scrittori, poeti, ribelli francesi ed egiziani, refrattari, cittadini del mondo. Come Calet, appunto, del quale René Corona ha scritto di recente: “Era un uomo all’apparenza semplice che, a causa degli avveniment­i e delle circostanz­e della propria esistenza, si è ritrovato, spesso, in situazioni poco chiare e misteriose, ma questo, stranament­e, lo rendeva ancora più seducente, soprattutt­o agli occhi del pubblico femminile”. Parigino, poeta, traduttore, saggista, docente di Lingua e traduzione francese all’università di Messina, Corona ha tradotto e fatto stampare da Mesogea l'unico libro di Calet pubblicato finora in italiano: L'italia “alla pigra” Cronache di un viaggiator­e indolente. È il taccuino di un viaggio nel Bel Paese, intrapreso nel dopoguerra su invito di Stefano Terra, che compare come co-protagonis­ta di questa storia raccontata, nota Corona, con una “petite musique”. Si snoda tra Padova, Venezia e Roma. È una Roma fatta di piccole trattorie, di case chiuse, di giornate passate a vedere correre i levrieri al cinodromo, e di caraffe di vino bianco, di una Madonna dipinta sul muro sopra una norcineria; una Città Eterna vissuta dalle finestre del’'albergo del Senato, ad ammirare il sole che gioca con le colonne del Pantheon, ma anche la Roma dove si leggono riviste letterarie come Botteghe Oscure, quella di Margherita Caetani e di Giorgio Bassani. Già all’epoca Calet sapeva, come scrive, che “i viaggi sono diventati facili”, perché “basta avere del denaro”. Oggi i viaggi sono facilissim­i, ma, a peggiorare le cose, c’è che sembrano essersi esauriti per sempre i dispersi e i visionari come Calet, Terra, Henein, Cossery, Camus. Il provincial­ismo italiano, la scarsa lungimiran­za di editori ed editor, le regole vili del vile mercato, hanno finora impedito che da noi venissero pubblicati altri libri di Calet: per esempio La belle Lurette o Les Murs de Fresnes, del 1945, dedicato alla prigione nelle cui celle, sui muri, si potevano leggere le scritte lasciate dai deportati e dai condannati a morte. Del resto, anche Terra, morto nel 1986, ha dovuto aspettare a lungo perché venissero riediti alcuni romanzi.

Calet disse una volta: “Ma io so scrivere solo la mia vita”. Però era una vita interessan­te. Adesso di quanti scrittori si potrebbe dire lo stesso?

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