Il realismo inquieto dei Cccp più attuale che negli anni 80
Non c’era reunion più lontana e inimmaginabile di quella dei Cccp. Una band percepita – almeno fino a pochi mesi fa – come di nicchia, lontana nel tempo, cristallizzata in quegli anni Ottanta dove quasi tutto (anche e sopratutto nella musica) appariva plastificato. Finto. Irregimentato. I Cccp sembravano (per chi almeno li ricordava ancora) qualcosa di meravigliosamente unico e irripetibile. E invece no.
Prima la réunion/non reunion del “Gran Gala Punkettone” di fine ottobre al Teatro Valli di Reggio Emilia. Poi la mostra “Felicitazioni!” (ricchissima e imperdibile) sempre a Reggio Emilia. Le ristampe dei vinili (tornati in classifica). E poi, addirittura, un nuovo live inedito (un concerto del 1983) e tre date immediatamente sold out alla Astra Kulturhaus di Berlino. Ieri, sabato e domenica. La Berlino dove Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni si incontrarono nel 1981 e si persero poi (litigando furiosamente) nel 1999. Non si sono parlati per più di vent’anni. Ora, di nuovo, si ritrovano proprio a Berlino, con i Cccp definitivamente rinati, assieme ad Annarella e Fatur, consapevoli di quanto (per fortuna) tempo sia passato e di come quel tempo (non senza un certo paradosso) abbia reso la band ancora più attuale. Ancora più presente.
Ancora più contemporanea.
Essendo stato sul palco con loro tanto a Reggio Emilia quanto nelle tre date di Berlino, posso dire che i Cccp sono splendidamente vivi e irresistibilmente felici. Il loro realismo inquieto degli Ottanta, la loro teatralità barbarica – “l’ultimo tentativo del 900 italiano di trovare nuove forme di espressione”, ha scritto Michele Rossi – è arrivata fino a oggi con inattesa luccicanza e preveggenza. Brani come Radio
Kabul suonano più attuali oggi di ieri. Suite generazionali come Emilia paranoica riesplodono con inaudita potenza. Cento minuti di concerto pienamente punk, con tanto di contestazione ancora più punk (proprio in contemporanea con il mio intervento, dunque parlo con particolare cognizione di causa). E musicisti pazzeschi (cinque) alle spalle dei (quattro) Cccp propriamente detti. Cinquemila persone divise in tre sere, in un angolo di Berlino che pare davvero rimasto agli anni Ottanta. Pubblico di ogni età, che sa tutti i brani a memoria, diviso tra talebani duropuristi autoproclamatisi “antisistema” (ammesso che voglia dire ancora qualcosa) e persone (la maggioranza, per fortuna) con una gran voglia di riascoltare grandi testi e grande musica.
Il successo è già tale che i Cccp, da fine maggio e per tutta l’estate, si imbarcheranno in una tournée di più di dieci date in grandi piazze, e già sanno che “rischiano” di diventare il contro-evento musicale italico del 2024 (se non lo sono già adesso). Come sia possibile essere punk a 70 anni, per giunta in quest’era di autotune mefitici e retorica politicamente corretta, è assai arduo saperlo. Ma i Cccp ci riescono: per nulla nostalgici, men che meno patetici. Bensì attuali, stranianti, divisivi, mai anacronistici e sempre liberi. Anche di dividere e stare violentemente sui coglioni.
A Berlino mettono in fila poco meno di 20 brani (la scaletta estiva sarà più o meno quella lì). Cambiano ritmo e scenari di continuo, dalla vertigine ossessiva di Curami alla sacralità di Libera me domine. Dall’introduttiva Depressione caspica alla conclusiva Amandoti. Magia (e follia) pure. Anche solo un anno fa, una cosa simile era impensabile. Persino dopo le due serate di Reggio Emilia dello scorso ottobre, Ferretti ci disse nei camerini: “Adesso è davvero finito tutto”. Non è stato di parola: per fortuna. Un tempo era punk filo-sovietico, a metà strada tra Carpi e Berlino. Oggi è musica non meno ribelle, tenuta insieme da un’alchimia che pare generata da un insistito parossismo degli ossimori: il pazzo, l’elegante, l’impassibile e lo ieratico. Fatur, Annarella, Massimo e Giovanni. All’anagrafe Cccp. Ieri, oggi e per sempre.
RITORNI DOPO LA “REUNION” DI REGGIO EMILIA, IERI TRE CONCERTI A BERLINO E POI UN TOUR ESTIVO