Armi: Kiev senza proiettili Usa e Ue: “Più produzione”
Igrafici degli aiuti inviati all’ucraina mostrano una curva ascendente sin da prima dell’inizio della guerra. In alcuni mesi la pendenza si riduce, ma senza mai azzerarsi. L’ultimo picco si è registrato questo mese con l’approvazione dei 50 miliardi di euro di aiuti iscritti nel bilancio dell’unione europea. Questi fondi non sono però stati immediatamente trasferiti a Kiev, fanno parte di un piano lungo quattro anni. Secondo l’ukraine support tracker del Kiel Institute, uno dei più blasonati centri di ricerca tedeschi, le istituzioni europee e i Paesi membri si sono impegnati a donare all’ucraina 144,1 miliardi di euro (compresi i 50 approvati a inizio febbraio).
C’È UN’IMPORTANTE distanza tra i fondi promessi, 144,1 miliardi, e quelli effettivamente allocati, 77 miliardi. Gli
Usa hanno già stanziato
67,7 miliardi, fondi che in estrema maggioranza sono già stati trasferiti. Washington sta faticando ad approvare il nuovo pacchetto da 60 miliardi di dollari, al momento la cassa della sezione del bilancio dedicata all’ucraina è vuota. Il totale degli aiuti arrivati a Kiev da altri Paesi, tra cui Regno Unito e Canada, è di 40,6 miliardi di euro. L’UE e i suoi Stati membri, diversamente da quanto percepito sin dall’inizio dell’invasione russa, hanno sempre rappresentato più del 50% degli aiuti. Scorporando i dati si nota che la sola Germania ha donato 43,5 miliardi che rappresentano lo 0,57% del Pil. Gli Usa con 67,7 miliardi si attestano invece allo 0,32 del prodotto interno lordo. Il Kiel Institute tiene traccia dei fondi inviati a Kiev suddividendoli in tre categosioni rie: militare, finanziario e umanitario. Prendendo in considerazione solo i soldi effettivamente allocati, l’europa ha diviso i suoi sforzi in modo quasi paritario tra fondi per comprare armi, 35,2 miliardi, e quelli per il supporto finanziario, 34 miliardi, a cui si somma circa il 10% del totale in aiuti umanitari.
Se si osservano gli stessi dati per gli Stati Uniti la proporzione cambia drasticamente. Dei 67,7 miliardi statunitensi, circa 42 miliardi sono stati usati in aiuto militare, mentre 24 sono andati al finanziamento della macchina statale ucraina e solo 1,4 miliardi per aiuti umanitari. Per capire la differente suddivisione dei fondi va ricordato come funzionano gli aiuti militari. Con l’approvazione da parte del Congresso statunitense dell’invio di un sistema d’arma, scatta la richiesta al Pentagono per reperire ed esportare il materiale. Se questo si trova già nei depositi dell’esercito, i soldi vengono girati ai militari, diversamente le armi vengono ordinate ai produttori, per la quasi totalità sono statunitensi. I fondi spesi da Washington per Kiev non escono dal territorio statunitense. Gli aiuti finanziari sono invece trasferimenti diretti di capitali che servono a pagare stipendi e pensioni, per garantire il funzionamento di base dei servizi pubblici ucraini. Per l’europa il discorso è diverso. Tutti i Paesi dell’ex blocco sovietico hanno mandato in Ucraina munizioni e mezzi fermi nei propri depositi da decenni. Questo permetteva all’esercito di Kiev di non dover provvedere all’addestramento dei soldati, le armi polacche della Guerra fredda erano le stesse di quelle ucraine. Con il passare dei mesi è emerso un elemento che ha creato tentra gli alleati: la valutazione del costo delle armi. Alcuni eserciti hanno considerato nel computo degli aiuti non il costo dell’arma inviata, ma quello del materiale con cui verrà rimpiazzata. Il costo di un obice di fine anni 80 non è quello di un cannone odierno.
NUOVI FONDI PENTAGONO ED EUROPA SPINGONO SULL’INDUSTRIA
SIA NEL CASO USA, che in quello europeo i fondi supplementari sono serviti a finanziare le industrie della Difesa e spingerle a investire in nuovi stabilimenti. Dopo decenni di bassa produzione la capacità e la velocità di fabbricazione di munizioni è troppo bassa per una guerra d’attrito. Durante l’offensiva della scorsa estate l’esercito ucraino sparava in poco più di una settimana l’intera produzione mensile mondiale di colpi da 155 mm. Dopo mesi di negoziazioni e commesse miliardarie, due settimane fa la Rheinmetall, gigante tedesco del comparto della Difesa, ha iniziato i lavori per un nuovo impianto produttivo: 50 mila munizioni al mese. Nei dati del Kiel Institute solo tre Paesi figurano con informazioni parziali e non confermate sugli aiuti militari: Francia, Polonia e Italia. Sia Parigi che Varsavia sono state riprese dagli alleati per aver usato costi gonfiati, di rimpiazzo, nelle dichiarazioni ufficiali degli aiuti. A tutti i dati elencati fino a qui vanno aggiunti tre costi difficilmente quantificabili: addestramento militare, intelligence e aiuto per i rifugiati. Per i primi due casi si tratta di numeri che incidono poco sul totale. La questione dei rifugiati è invece argomento di scontro. Sempre secondo il Kiel Institute, la Polonia e la Germania hanno speso singolarmente per l’accoglienza oltre 20 miliardi di euro.