Popvicenza: la guerra incrociata in tribunale e il conto per lo Stato
COM’È FINITA/2 Un crac costato almeno 7 miliardi a migliaia di risparmiatori, mentre la vigilanza era distratta o catturata: Zonin e altri ex dirigenti condannati in primo grado
L’ultima vittima della guerra legale intorno al crac della Popolare di Vicenza, crollata il 25 giugno 2017 sotto perdite per 4 miliardi accumulate dal 2014, è la Fondazione Roi. L’ente culturale vicentino, che aveva azioni Bpvi per 29 milioni, chiedeva 23 milioni di danni ai suoi ex amministratori. Il 12 ottobre, però, il tribunale ha detto no. Tra i nomi chiamati in causa dalla Fondazione svettava il suo ex presidente Gianni Zonin, per 19 anni presidente e per 32 consigliere della banca. È una goccia nel mare del disastro della Vicenza, che mandò in fumo azioni per 5,86 miliardi in mano a 117mila azionisti e 7 bond subordinati per 1,13 miliardi in tasca a migliaia di risparmiatori. Quel collasso, dal quale finora hanno guadagnato solo gli avvocati, rischia di costare allo Stato garanzie sino a 17 miliardi.
IL 19 MARZO SCORSO l’83enne Zonin è stato condannato in primo grado dal tribunale di Vicenza a 6 anni e 6 mesi per aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto. Condannati a 6 anni e 3 mesi anche l’ex vicedirettore generale Emanuele Giustini e a 6 anni ciascuno gli ex dirigenti Paolo Marin e Andrea Piazzetta. Gli imputati, ai quali sono stati confiscati 963 milioni, hanno già fatto ricorso. A Vicenza è successo di tutto. L’acquisizione annunciata e mai realizzata di Banca Etruria nel 2014, con grandi fluttuazioni delle azioni Bpel che consentirono a pochi investitori ingenti guadagni. Conflitti di interesse dei vertici e degli azionisti “forti”. Segnalazioni di gravi irregolarità a Banca d’italia e Procura cadute nel nulla, come quella inviata nel 2000 dall’allora dg di Bpvi Giuseppe Grassano o quella di Adusbef del 18 marzo 2008 o le due inviate a ottobre 2012 e aprile 2013 dal sindacato Unisin a Bankitalia e Consob sulle “operazioni baciate”, l’erogazione di mutui e finanziamenti con annessa sottoscrizione di azioni. Gli intrecci tra la banca e i servizi segreti. Le “porte girevoli” con l’assunzione in banca di alcuni ex controllori.
Il falò vicentino dimostra che la Vigilanza di Banca d’italia, che dal 2001 al 2017 - regnanti Fazio, Draghi e Visco - visitò dieci volte Bpvi, sa essere fortissima coi deboli e inerme con i veri potenti come Zonin. Un’ispezione del 2001 che portò a sanzioni risibili, pur accertando conflitti d’interesse e anomalie nella gestione. I controllori erano di casa in Bpvi: ci tornarono da ottobre 2007 a marzo 2008 (irrogando sanzioni a marzo 2009), da aprile ad agosto 2009, da novembre 2010 a marzo 2011, da maggio a ottobre 2012, a marzo 2014 quando la Bce valutò la qualità degli attivi. Andavano e venivano, ma non cambiava nulla. Fu solo l’ispezione Bce del settembre 2015 ad accertare che, su 1,3 miliardi raccolti con gli aumenti di capitale del 2013 e 2014, 974 milioni erano stati finanziati con le “baciate”. Dopo anni di archiviazioni, per una curiosa coincidenza, il 22 settembre 2015 la Procura di Vicenza si decise a indagare Zonin
Le cause civili sono un groviglio a oggi inestricabile destinato a durare anni. Intanto le garanzie pubbliche arrivano a 17 miliardi
e l’ex dg Samuele Sorato. Intanto la banca cercava altri 1,5 miliardi di capitale. Bontà sua, Zonin si dimise il 23 novembre, a due mesi dagli avvisi di garanzia e il giorno dopo la “risoluzione” di Etruria, Banca Marche, CariFerrara e Carichieti. Secondo alcuni, il padre padrone uscì di scena perché nessuno avrebbe sottoscritto azioni della Vicenza con lui ancora al vertice. Secondo altri, perché resistere era ormai vano: il 16 novembre l’italia aveva recepito la direttiva Brrd sulle crisi bancarie che consentiva alla Bce di rimuovere amministratori e dirigenti in caso di gravi irregolarità.
Solo il 26 febbraio 2016 la Consob - che per anni aveva approvato senza fiatare i prospetti di azioni e obbligazioni - costrinse la banca ad ammettere di aver riprofilato “oppor tunisticamente” il 65% dei clienti per fargli sottoscrivere l’aumento di capitale del 2013 e addirittura il 79% per l’aumento del 2014. Il 12 settembre 2016 l’antitrust multò la Popolare per 4,5 milioni perché i clienti “furono costretti a diventare soci per ottenere mutui agevolati in modo da finanziare gli aumenti 2013 e 2014”. E decine di grandi azionisti erano già riusciti a vendere alla banca le proprie azioni non quotate e illiquide, ancora al massimi di 62,5 euro l’una, scavalcando migliaia di piccoli risparmiatori.
Intanto sul fronte civile infuria il tutti contro tutti. Il 13 dicembre 2016 la maggioranza assoluta dei soci di Popvicenza ha approvato l’azione di responsabilità contro Zonin e gli ex vertici. Ma solo il 10 gennaio 2019 il Tribunale fallimentare ha decretato l’insolvenza di Bpvi per 3,5 miliardi. Da aprile 2017 i liquidatori chiedono un miliardo di danni a Zonin e ad altri 31 amministratori, ma l’ex presidente il 6 dicembre 2016 aveva anticipato la mossa citando a sua volta la banca e gli ex dirigenti Sorato e Giustini.
L’AVVOCATO Mario Azzarita, che con lo studio legale Sat di Padova tutela una trentina di azionisti per un danno di circa 40 milioni, ha ottenuto una serie di sentenze di primo grado che definiscono nulle le “op erazi oni baciate” dal 2012 in poi, ma i liquidatori hanno proposto appello. Sempre Sat, per conto di una decina di clienti che avevano investito circa 60 milioni nella banca, ha fatto causa per omessa vigilanza contro Bankitalia e Consob. Banca Italia chiedeva che a giudicare fosse il Tar del Lazio, ma il 5 marzo 2020 le sezioni unite della Cassazione hanno invece stabilito che i tribunali competenti in sede civile sono quelli territoriali del Veneto. La vertenza è in corso. Il 17 aprile 2020 lo studio Gatti Pavesi Bianchi, per conto dei liquidatori della banca, ha ottenuto dal Tribunale di Vicenza due sentenze che revocano donazioni immobiliari e vendite di partecipazioni societarie di Zonin a favore dei suoi familiari. Anche in questo caso c’è un ricorso.
Ci vorranno anni prima che arrivino sentenze definitive. Ma i liquidatori della banca non possono aspettare: all’inizio del mese hanno messo all’asta, per un valore base di 13,2 milioni, le 527 quote del capitale di Bankitalia possedute dalla Popolare. Tra i tanti conflitti d’interessi della Vicenza, almeno questo sarà presto sciolto. (2 - Fine)