Michetti riabilita la Raggi Gualtieri vince per inerzia
Infine duello fu. E tolse ogni dubbio sul motivo per cui Enrico Michetti ha sempre evitato i confronti diretti con gli altri candidati al Campidoglio. La sfida televisiva con Roberto Gualtieri nel salotto di Porta a Porta– arbitro l’immarcescibile Bruno Vespa – si chiude con una vittoria abbastanza netta dell’ex ministro all’economia del centrosinistra. O meglio, con una sconfitta nitida del “tribuno” voluto da Giorgia Meloni.
NONOSTANTE i tre punti di vantaggio nel primo turno, Michetti è ampiamente sfavorito. E come tale si gioca la carta della disperazione: la ricerca del sostegno di Virginia Raggi. Nei 40 minuti di duello, la chiamata del tribuno all’ex sindaca è evidente in più di un passaggio. Il più esplicito, quando parla della candidatura di Roma a Expo 2030: “Devo dire che l’attuale consiliatura, con la sindaca Virginia Raggi, ha fatto un ottimo lavoro. La candidatura è ben pianificata, ci ha lavorato più di un anno. Per onestà intellettuale, devo riconoscere il buon lavoro dell’amministrazione capitolina”.
Ma i messaggi obliqui di Michetti continuano anche quando si parla di rifiuti, pulizia e decoro. La vera colpevole del degrado di Roma, secondo il candidato delle destre, è la Regione Lazio. Michetti è un po’ goffo: lo dice a più riprese, ma si scorda di fare il nome di Nicola Zingaretti, governatore e compagno di partito di Gualtieri. Il senso comunque è chiaro, se Roma è sporca la colpa non è della Raggi ma del Partito democratico: “La Regione Lazio ha una responsabilità enorme. Non solo redige il piano rifiuti, ma se il Comune è inadempiente ha il dovere di commissariarlo per garantire l’igiene urbana. Invece non ha mai messo il Comune nelle condizioni di risolvere il problema di Roma. Ha creato un disastro ambientale. Secondo una rivista americana, Roma è peggio di Bangkok”.
CAMPIDOGLIO IL TRIBUNO, PIÙ CHE PER SÉ, TIFA PER BERTOLASO
MICHETTI chiama Raggi, quindi, nell’improbabile speranza che la sindaca uscente gli conceda una preferenza pubblica che spaccherebbe il Movimento 5 Stelle, visto che Giuseppe Conte ha già annunciato il suo voto per Gual
tieri (come pure l’altro sconfitto del primo turno, Carlo Calenda). Poi il tribuno si gioca la carta Guido Bertolaso, pluricitato nei 40 minuti di duello e annunciato come futuro “supercommissario” ai rifiuti e al Giubileo del 2025, con un’insistenza che fa sembrare quasi lui il vero candidato sindaco.
Gualtieri è rimasto lucido e forse un po’ troppo freddo, di certo non ha infierito. Non ha giocato con le tremende gaffe del suo avversario, che continuano a emergere dagli archivi cartacei e radiofonici ( da quella sulla S ho a h e la pietà per gli ebrei “perché avevano le banche”, alle lezioni scivolose sull’ascesa di Hitler). Non ha puntato sulla settimana “nera” della destra e sulle reticenze di Meloni nel riconoscere “la matrice” delle ultime violenze di piazza. Ha esposto il programma con chiarezza, mostrando più concretezza e familiarità con i numeri e gli argomenti trattati. Un paio di volte ha replicato con ironia, quando Michetti l’ha accusato di essersi dimenticato di inserire Roma nella sua versione del Pnrr quando era ministro (“Le farò avere una copia sottolineata, è l’unica città d’italia a cui sono dedicati fondi appositi”) o quando il tribuno insisteva negli affondi contro Zingaretti (“Le farò dono anche di un manuale di diritto sulle responsabilità amministrative degli enti locali”). Un colpo a segno sul tema legalità: “Michetti parla con grande afflato di sicurezza, ma sarebbe stato meglio se non ci fossero stati occupanti di Casapound nelle sue liste, che rischiano di essere eletti in Consiglio. Per fortuna non succederà”. Nel complesso Gualtieri è stato pulito, ma ha rischiato poco: ha lasciato fare tutto al suo avversario.