Il Fatto Quotidiano

Franceschi­ni tace e spera che giri il vento a gennaio

- » Tommaso Rodano

Se ne sta buono e silenzioso, Dario Franceschi­ni. La corsa per il Quirinale è lunga, ci si brucia facilmente e si sta meglio nascosti. Anche perché la partita per la presidenza della Repubblica al momento è finita su un binario: l’ascesa al Colle di Mario Draghi o la permanenza di Sergio Mattarella. Che sono peraltro le due figure più popolari in campo: Mattarella straborda al 68% di fiducia secondo l’ultimo sondaggio agostano di Demos (con punte bulgare del 92% tra gli elettori del Pd). Draghi poi è Draghi: è stato scelto a furor di palazzi nel ruolo di salvatore della Patria e pare ci sia da stabilire solo se continuerà a esserlo a Palazzo Chigi o se abbraccerà l’ipotesi di un settennato al Quirinale.

QUINDI Franceschi­ni se ne sta nascosto. Il tempo non manca, il semestre bianco è iniziato da un soffio, l’inerzia può sempre cambiare. Le sue ambizioni sono ben note: il ministro della Cultura ha iniziato da tempo a muoversi con qualche onorevole collega del centrodest­ra, con la dovuta discrezion­e, per cominciare a sondare il campo. La prospettiv­a e i numeri sono incerti, si vedrà.

C’è stato un momento di grazia in cui Franceschi­ni sembrava davvero il punto di tenuta di un delicato equilibrio politico: è stato tra i registi della nascita del governo Conte e uno dei suoi più convinti sostenitor­i. Era tra quelli che si dicevano disposti a cadere con il premier gialloross­o, a perire sulla linea della trincea parlamenta­re con la baionetta in mano. Sotto Natale dettava ai giornalist­i virgoletta­ti bellicosi, destinati al manipolo di Matteo Renzi: “Se si aprisse la crisi, tanto varrebbe andare a votare. Conte contro Salvini e ce la giochiamo”. Poi è crollato tutto, è arrivato Draghi – ovviamente stimato come una figura di altissimo profilo – e lui non ha fatto fatica a trovare un atterraggi­o morbido, con la conferma della poltrona da ministro in via del Collegio Romano (è il primo della storia a farlo in due legislatur­e e con quattro governi diversi).

È una costante della sua storia politica e personale: Franceschi­ni guarda sempre avanti. Quando la casa brucia, al principio lo si può vedere con l’estintore in mano, ma al momento decisivo lo si trova al riparo, con l’abito intatto, fuori dal perimetro dell’incendio.

Cresciuto nella Dc ferrarese, allevato sotto l’ala di Benigno Zaccagnini, da grande è stato l’ombra dei leader del centrosini­stra fino a un attimo prima che fossero sconfitti o epurati. Un talento straordina­rio nel seguire la corrente e nell’assecondar­e le mareggiate: prodiano, poi dalemiano, poi veltronian­o, poi bersaniano, poi lettiano, poi renziano, poi zingaretti­ano. Nel tumultuoso passaggio di consegne con Renzi, Letta era convinto che a parargli le spalle ci fosse lui, Franc es chini, all ’ epoca ministro dei Rapporti col Parlamento: stava sereno. La presa di coscienza con la realtà fu violenta: “Io ti ho creduto, Dario, quando giuravi che quelle riunioni con i dirigenti renziani e con i leader dei partiti le facevi per il mio governo – riporta il Corriere della Sera del 13 febbraio 2014 –. E invece no, scopro che trattavi per il governo Renzi. Mi hai pugnalato alle spalle”. E per giunta per favorire quello stesso rottamator­e che l’aveva definito “il vicedisas tro” di Walter Veltroni, quando Franceschi­ni raccolse il suo posto di segretario del Pd. Dario sa dimenticar­e. Inoltre sa leggere il vento e giocare con le parole. La prima qualità potrebbe averla ereditata da una delle passioni giovanili: ancora minorenne, Franceschi­ni è stato sbandierat­ore del Palio di Ferrara (ma il giovane Dario sbandierav­a anche in trasferta: risulta tra i fondatori del Gruppo di Sbandierat­ori e Musici di Borgovelin­o, in provincia di Rieti, circostanz­a che gli è valsa la cittadinan­za onoraria).

La seconda qualità gli ha spalancato una fiorente carriera letteraria: quattro romanzi e una raccolta di racconti. Più che discreti i riscontri delle giurie letterarie (in Francia ha soffiato il premio Chambéry a Veltroni). Non è mancata invece qualche velenosa critica della stampa italiana: secondo L’espresso “da ministro è felpato e quasi curiale, da scrittore è imprevedib­ile e un po’ folle”. Il Foglio, per una volta cattivissi­mo, gli ha consigliat­o “la separazion­e delle carriere”: “Magari il racconto sul migrante siriano Nizar, che ‘ aveva nella faccia e nello sguardo secoli di storia’ non era così urgente”).

POCO MALE. Nonostante qualche diffidenza per il percorso autoriale e qualche antipatia per il non sempre lineare percorso politico, Franceschi­ni continua a godere in fondo di stime trasversal­i. La breve esperienza da segretario al Nazareno gli ha permesso di far nascere e consolidar­e una delle correnti più durature e organizzat­e del partito, Area Dem. Molti dei suoi hanno fatto una bella carriera: Francesca Mogherini (ex “Lady Pesc”), Roberta Pinotti ( ex ministra della Difesa), Antonello Giacomelli è finito alla guida dell’agcom, Francesco Saverio Garofani è uno dei consiglier­i di Sergio Mattarella. E proprio lui, il capo dello Stato, con Franceschi­ni ha un rapporto buonissimo sin dai tempi del Partito Popolare: è stato Dario, scaduta nel 2008 l’ultima legislatur­a dimattarel­la in Parlamento, a proporlo prima come presidente della Rai (senza successo) e poi come giudice della Corte Costituzio­nale nel 2011. Per prendere il suo posto tra sei mesi forse è ancora poco, conviene stare nascosti un altro po’.

Lo sbandierat­ore È sopravviss­uto alla fine di tutti i suoi leader e ora aspira all’eredità di Mattarella, del quale ha propiziato l’elezione

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ANSA Quadrimini­stro Dario Franceschi­ni alla Cultura nei governi Renzi, Gentiloni, Conte-2, Draghi

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