Franceschini tace e spera che giri il vento a gennaio
Se ne sta buono e silenzioso, Dario Franceschini. La corsa per il Quirinale è lunga, ci si brucia facilmente e si sta meglio nascosti. Anche perché la partita per la presidenza della Repubblica al momento è finita su un binario: l’ascesa al Colle di Mario Draghi o la permanenza di Sergio Mattarella. Che sono peraltro le due figure più popolari in campo: Mattarella straborda al 68% di fiducia secondo l’ultimo sondaggio agostano di Demos (con punte bulgare del 92% tra gli elettori del Pd). Draghi poi è Draghi: è stato scelto a furor di palazzi nel ruolo di salvatore della Patria e pare ci sia da stabilire solo se continuerà a esserlo a Palazzo Chigi o se abbraccerà l’ipotesi di un settennato al Quirinale.
QUINDI Franceschini se ne sta nascosto. Il tempo non manca, il semestre bianco è iniziato da un soffio, l’inerzia può sempre cambiare. Le sue ambizioni sono ben note: il ministro della Cultura ha iniziato da tempo a muoversi con qualche onorevole collega del centrodestra, con la dovuta discrezione, per cominciare a sondare il campo. La prospettiva e i numeri sono incerti, si vedrà.
C’è stato un momento di grazia in cui Franceschini sembrava davvero il punto di tenuta di un delicato equilibrio politico: è stato tra i registi della nascita del governo Conte e uno dei suoi più convinti sostenitori. Era tra quelli che si dicevano disposti a cadere con il premier giallorosso, a perire sulla linea della trincea parlamentare con la baionetta in mano. Sotto Natale dettava ai giornalisti virgolettati bellicosi, destinati al manipolo di Matteo Renzi: “Se si aprisse la crisi, tanto varrebbe andare a votare. Conte contro Salvini e ce la giochiamo”. Poi è crollato tutto, è arrivato Draghi – ovviamente stimato come una figura di altissimo profilo – e lui non ha fatto fatica a trovare un atterraggio morbido, con la conferma della poltrona da ministro in via del Collegio Romano (è il primo della storia a farlo in due legislature e con quattro governi diversi).
È una costante della sua storia politica e personale: Franceschini guarda sempre avanti. Quando la casa brucia, al principio lo si può vedere con l’estintore in mano, ma al momento decisivo lo si trova al riparo, con l’abito intatto, fuori dal perimetro dell’incendio.
Cresciuto nella Dc ferrarese, allevato sotto l’ala di Benigno Zaccagnini, da grande è stato l’ombra dei leader del centrosinistra fino a un attimo prima che fossero sconfitti o epurati. Un talento straordinario nel seguire la corrente e nell’assecondare le mareggiate: prodiano, poi dalemiano, poi veltroniano, poi bersaniano, poi lettiano, poi renziano, poi zingarettiano. Nel tumultuoso passaggio di consegne con Renzi, Letta era convinto che a parargli le spalle ci fosse lui, Franc es chini, all ’ epoca ministro dei Rapporti col Parlamento: stava sereno. La presa di coscienza con la realtà fu violenta: “Io ti ho creduto, Dario, quando giuravi che quelle riunioni con i dirigenti renziani e con i leader dei partiti le facevi per il mio governo – riporta il Corriere della Sera del 13 febbraio 2014 –. E invece no, scopro che trattavi per il governo Renzi. Mi hai pugnalato alle spalle”. E per giunta per favorire quello stesso rottamatore che l’aveva definito “il vicedisas tro” di Walter Veltroni, quando Franceschini raccolse il suo posto di segretario del Pd. Dario sa dimenticare. Inoltre sa leggere il vento e giocare con le parole. La prima qualità potrebbe averla ereditata da una delle passioni giovanili: ancora minorenne, Franceschini è stato sbandieratore del Palio di Ferrara (ma il giovane Dario sbandierava anche in trasferta: risulta tra i fondatori del Gruppo di Sbandieratori e Musici di Borgovelino, in provincia di Rieti, circostanza che gli è valsa la cittadinanza onoraria).
La seconda qualità gli ha spalancato una fiorente carriera letteraria: quattro romanzi e una raccolta di racconti. Più che discreti i riscontri delle giurie letterarie (in Francia ha soffiato il premio Chambéry a Veltroni). Non è mancata invece qualche velenosa critica della stampa italiana: secondo L’espresso “da ministro è felpato e quasi curiale, da scrittore è imprevedibile e un po’ folle”. Il Foglio, per una volta cattivissimo, gli ha consigliato “la separazione delle carriere”: “Magari il racconto sul migrante siriano Nizar, che ‘ aveva nella faccia e nello sguardo secoli di storia’ non era così urgente”).
POCO MALE. Nonostante qualche diffidenza per il percorso autoriale e qualche antipatia per il non sempre lineare percorso politico, Franceschini continua a godere in fondo di stime trasversali. La breve esperienza da segretario al Nazareno gli ha permesso di far nascere e consolidare una delle correnti più durature e organizzate del partito, Area Dem. Molti dei suoi hanno fatto una bella carriera: Francesca Mogherini (ex “Lady Pesc”), Roberta Pinotti ( ex ministra della Difesa), Antonello Giacomelli è finito alla guida dell’agcom, Francesco Saverio Garofani è uno dei consiglieri di Sergio Mattarella. E proprio lui, il capo dello Stato, con Franceschini ha un rapporto buonissimo sin dai tempi del Partito Popolare: è stato Dario, scaduta nel 2008 l’ultima legislatura dimattarella in Parlamento, a proporlo prima come presidente della Rai (senza successo) e poi come giudice della Corte Costituzionale nel 2011. Per prendere il suo posto tra sei mesi forse è ancora poco, conviene stare nascosti un altro po’.
Lo sbandieratore È sopravvissuto alla fine di tutti i suoi leader e ora aspira all’eredità di Mattarella, del quale ha propiziato l’elezione