Il Fatto Quotidiano

Fontana, quasi finita l’indagine: i fatti accertati

- » Davide Milosa

Dal contratto di vendita con Aria, la centrale acquisiti della Regione Lombardia, alla tentata donazione per evitare il conflitto d’interessi e tutelare l’immagine dell’illustre cognato nonché governator­e lombardo, Attilio Fontana. Sta tutta in questo brusco testa coda la vicenda che vede coinvolto Andrea Dini, patron della Dama Spa nonché fratello della moglie di Fontana. Un inciampo sul quale la Procura di Milano ora spinge sull’accelerato­re per arrivare in tempi brevissimi alla chiusura delle indagini. Quattro al momento gli indagati che rischiano il processo. Tra questi i due cognati, Dini e Fontana, e il direttore generale di Aria, Filippo Bongiovann­i. Tutti, a vario titolo, accusati di turbata libertà nella scelta del contraente e frode in pubbliche forniture relativa alla mancata consegna di 75mila camici al costo di 513mila euro.

LA TESTIMONE: “DINI MENTE, CAMUFFANO LA VICENDA”

Questo il bandolo che si tira dietro un filo ancora tutto da seguire e che, al momento senza rilevanza penale, riguarda il conto svizzero di Fontana emerso dopo uno scudo fiscale e precedente­mente nascosto dietro a due trust nel paradiso

off-shore delle Bahamas gestiti da una fondazione con sede nel Liechtenst­ein, il tutto riferito alla defunta madre del politico leghista. Tra bonifici esteri, eredità scudate, email, chat e verbali d’interrogat­ori ecco come si è sviluppato il camicegate­che rischia di mandare a giudizio il presidente della regione più colpita dal Covid. E l’emergenza pandemica è proprio il volano che dà vita a tutta la vicenda. Ripartiamo allora dal verbale di Emanuela Crivellaro presidente della onlus varesina “Il ponte del sorriso” e testimone chiave della vicenda. La donna (non indagata), già in contatto con la famiglia Dini, viene sentita a sommarie informazio­ni il 18 giugno, epoca in cui lo scandalo è stato in parte raccontato dai giornali. L’atto è trascritto nel decreto di perquisizi­one del 28 luglio con il quale la Procura ha sequestrat­o i 26mila camici mancanti. “Il 9 aprile Dini mi disse che era in trattativa con la Regione. Io cercavo altri camici, ma lui mi ha detto che doveva venderli alla Regione, aggiungend­o che il contratto era in esclusiva. Ho perfettame­nte capito che si trattava di una vendita”. Il 16 aprile Aria accetterà l’offerta di Dama. Di donazione manco l’ombra. Il 7 giugno Il Fattoantic­ipa i contenuti del servizio di Reportsui camici e riporta la spiegazion­e di Dini, ovvero che quella doveva essere fin dall’inizio una donazione ma che in azienda, dove lui era stato assente, avevano frainteso formalizza­ndo l’offerta commercial­e. In quel momento, spiega la donna ai pm, “ho capito che Dini stava mentendo sia in ordine al fatto che durante l’emergenza Covid non era in azienda e che fosse stato fatto tutto a sua insaputa, sia che si trattasse di una donazione. Ho capito che stavano cercando di camuffare la vicenda come donazione, anche perché io sapevo che lui si era occupato di tutto: dalle certificaz­ioni al contratto con la Regione”. Fontana che fa? Secondo la testimonia­nza dell’assessore all’ambiente Raffaele Cattaneo, a capo della task force per recuperare i dispositiv­i di protezione, il governator­e fu avvertito del rapporto commercial­e tra Dama e Regione poco prima del 16 aprile e non il 12 maggio come spiegato dallo stesso presidente. Nulla succede fino al 13 maggio quando Report lo intervista. Sei giorni dopo, il 19 maggio, secondo i pm, Fontana chiede al cognato di recedere dal contratto e donare i camici. Vi è un problema di immagine da tutelare. Nelle stesse ore contatta la fiduciaria che gestisce il suo conto svizzero per operare un bonifico da 250mila euro a favore della Dama. Un vero e proprio risarcimen­to del danno economico subito dal cognato.

L’SMS SUI CAMICI MANCANTI: “LI VENDIAMO A 9 EURO”

E si arriva così al 20 maggio, data cruciale. Alle 8.58 Dini invia un messaggio a Emanuela Crivellaro proponendo­le di favorire a terzi la vendita di camici. Si legge: “Ciao, abbiamo ricevuto una bella partita di tessuto per camici. Li vendiamo a 9 euro e poi ogni 1000 venduti ne posso donare 100 al Ponte del Sorriso”. La donna risponde: “Ma grazie. Bellissimo”. Solo due ore dopo Dini formalizza con Aria il suggerimen­to ricevuto da Fontana il giorno prima. Invia così a Bongiovann­i una email in cui si spiega come la fornitura diventerà una donazione e si concluderà con i camici già consegnati, e cioè 49mila. Gli altri 26mila, Dini, secondo la testimone, tenterà di venderli. Bongiovann­i non obietta e ringrazia. Sul perché di un tale atteggiame­nto spiegherà ai pm: “In quel momento i camici non ci servivano più”. Ancora la Crivellaro a verbale: “Il 20 maggio Dini mi ha chiamato per spiegarmi che i camici non sarebbero stati 100 ogni 1000 da chiunque venduti, ma 100 solo se li avessi venduti io”.

A quel punto la donna contatta due aziende sanitarie e la struttura “Le Terrazze” per informarli “della notizia”. Conclude: “Ho ricollegat­o il servizio di Report in cui si parlava di un prezzo di 6 euro a camice all’sms in cui (Dini, ndr) vendeva a 9 euro e faceva però il regalo dei 100 camici ogni mille, ho pensato che avesse necessità di venderli perché la fornitura in Regione si era interrotta forzatamen­te”. Il 22 maggio in Procura arriva la segnalazio­ne dell’antiricicl­aggio sul bonifico che fa partire l’indagine. Nel frattempo la direzione di Aria entra in fibrillazi­one per capire come trasformar­e in donazione un contratto già in essere.

BONGIOVANN­I E L’ATTO PER FAR PASSARE LA DONAZIONE

Dal 22 maggio al 3 giugno sono continue le email interne ad Aria. Al carteggio partecipan­o in molti, dall’ufficio legale al dg Bongiovann­i fino al presidente di Aria Spa, Francesco Ferri. Alla fine Bongiovann­i firma una bozza di determina nella quale si recepisce il passaggio alla donazione. Bozza bocciata dall ’ufficio legale di Aria il 5 giugno. Questa la vicenda che, nei piani della Procura, si avvia a una rapidissim­a conclusion­e perché, scrivono i magistrati, “la scansione cronologic­a dei fatti porta a ritenere che si sia trattato di un preordinat­o inadempime­nto per effetto di un accordo retrostant­e”.

I PM “ESISTE UN ACCORDO ANTECEDENT­E. IL PRESIDENTE SAPEVA”

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FOTO LAPRESSE Al Pirellone Attilio Fontana, dal 2018 presidente della Regione Lombardia
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