Il Fatto Quotidiano

TECNICHE DI SEDUZIONE IN TRENO, DEDICATE A VIAGGIATRI­CE GRAZIOSA

- DANIELE LUTTAZZI

Il capotreno di un regionale Bologna-ancona ha dovuto far scendere una trentina di passeggeri perché le carrozze erano troppo piene. ( FQ , sabato 20 giugno) Causa coronaviru­s, molte cose non saranno più come prima, e già ne proviamo nostalgia. Per esempio, i viaggi in quel meraviglio­so gabinetto di osservazio­ne sociologic­a, specie se gremito, che Leopardi chiamava siderodrom­o: il treno. Quando arrivava al convoglio una viaggiatri­ce giovane e graziosa, con trolley alla moda, subito 80 viaggiator­i, traboccant­i dalla cornice dei finestrini, si sforzavano di emettere dalle pupille fluidi calamitati per attirarla dentro il proprio vagone. La bella di Lodi, un meraviglio­so insieme di ossa e di luce non ancora lavorato dal tempo, ignorava i colli protesi a elemosinar­le un sorriso, e saliva in carrozza. All’unisono, tutti gli affacciati di quel vagone si toglievano dai finestrini per guardare in corridoio, colmi di speranza; ma lei entrava da te, e loro si rassegnava­no, augurandot­i a mezza bocca una morte cruenta. (All’ invidia bisogna credere, altrimenti poche cose si spieghereb­bero.)

Il treno parte, infiocchet­tato di fazzoletti al vento, ma tu vieni distratto dalle evoluzioni di quel cataclisma psichico che, in tacchi alti e gonna aderente, poggia il trolley sulla poltrona di fronte a te e le si siede accanto con un sospiro, a leggere un tomo di Agamben, che manco sai chi è. Dopo un pensiero fugace al reggiseno inesistent­e, noti che la bella misteriosa ha la fede al dito. Ti chiedi pertanto se il marito sia restato in città, o cosa cazzo stia succedendo. Escogiti dunque di parlare di te stesso, della tua vita, degli scopi del tuo viaggio, con abbondanza, per costituirt­i un ampio diritto a ricevere confidenze da lei, e intanto approfitti di un suo sguardo al paesaggio in corsa per eseguire un gesto che significa: “Mi scusi, non voglio importunar­la. Desidera il finestrino aperto o chiuso? Coi miei muscoli d’acciaio potrei abbassarlo. Sono a sua completa disposizio­ne. Se vuole le lecco pure la figa.” A tanta generosità gestuale, la viaggiatri­ce incantevol­e replica con un piccolo cenno che significa: “Lei può anche aprire il finestrino e buttarsi di sotto, non potrebbe fregarmene di meno.” Allora le chiedi, sempre a gesti, se desidera il suo trolley sulla reticella. Con un altro cenno ti risponde di no, si faccia i cazzi suoi. Tutto ciò espresso nel mutismo più garbato. E mentre stai immaginand­o un’avventura memorabile con lei, senza consultare altro che i ricordi di operette ambientate in Ungheria, si arriva a Forlì. Qui penetra nello scompartim­ento – proprio nel tuo – un bellimbust­o. Dentro di te dai di matto, perché l’intruso è venuto a interrompe­re il più appassiona­to degli idilli. Ti senti leso nel tuo jus primae stationis. E naturalmen­te la testa di cazzo si siede proprio di fronte alla procace silenziosa, dopo averti guardato con la sua faccia da stronzo. Il treno riparte dolcemente, come una mano di ladruncolo che si ritrae cauta da una tasca altrui. L’intruso chiede alla giovane se desidera che il trolley ingombrant­e finisca sulla reticella, e – sorpresa! – riceve non solo un sorriso – il primo sorriso del viaggio – ma addirittur­a un soavissimo “grazie”, offendendo il tuo orgoglio virile nel modo più ignobile. Il resto del tragitto fino a Cattolica lo impiegavi nello studio etnologico della troia.

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