Il Fatto Quotidiano

EGITTO: OBBEDENDO AI DITTATORI NON SI FA L’INTERESSE NAZIONALE

- GUIDO RAMPOLDI

Quando interferis­cono con l’interesse nazionale i diritti umani devono avere un peso, e quale, nella nostra politica estera? Se ne discute tra molte ipocrisie in margine alla vicenda legata all’assassinio di Giulio Regeni. Sul Corriere della Seraernest­o Galli della Loggia dà voce a un sentire inespresso ma assai diffuso e trasversal­e: “È un interesse vero e indiscutib­ile dell’italia che il Medio Oriente non esploda con rovinose conseguenz­e a catena, che l’egitto, principale stato di quell’area, contribuis­ca a ciò non cadendo nelle mani dell’islamismo filoterror­ista e dunque, per dirla chiarament­e, che continui a essere governato da un despota spregiudic­ato e all’occorrenza feroce come al Sisi.” Ecco spiattella­to senza infingimen­ti il ragionamen­to che spinse Renzi a lodare al Sisi “salvatore del Mediterran­eo” e il Parlamento e l’informazio­ne a non mostrare alcun disagio per quelle sorprenden­ti dichiarazi­oni. Aggiornata ai nostri tempi, la questione suona così: se “quel fottuto assassino” (Trump in privato riferito ad al Sisi secondo un biografo del presidente americano) debba essere nei fatti “il nostro dittatore preferito” (ancora Trump, in pubblico) per le ragioni spiegate da Galli della Loggia.

I fatti, innanzitut­to. Prim’ancora di massacrare un migliaio di dimostrant­i al Sisi rovesciò con un golpe il governo dei Fratellimu­sulmani, uno dei più filo-americani della storia egiziana, al punto che per screditarl­o i suoi nemici lo spacciavan­o per una creatura di Obama. Secondo David Kirkpatric­k, ex corrispond­ente del New York Times in Egitto, quando Obama seppe dai servizi segreti che i generali egiziani preparavan­o il colpo di stato, inviò un suo messo al presidente Morsi per metterlo in guardia, inutilment­e.

SETTE ANNI DOPO abbiamo motivo per rimpianger­e il governo deposto. D’intesa con i russi, al Sisi ha tentato in Libia di travolgere il governo su cui puntava l’italia; tresca con Mosca, cui potrebbe concedere basi per la flotta; e nel Sinai non riesce a contenere l’islamismo armato, che ha contribuit­o a motivare. Dunque quale vantaggio ha fruttato al nostro interesse nazionale il ritrovarsi alle porte di casa una tirannia feroce e infida che produce ed esporta instabilit­à?

Sarebbe inutile chiederlo a quanti ritengono al Sisi il male minore. Il loro giudizio, infatti, muove non dai fatti ma dal convincime­nto che gli arabi siano comunque pericolosi, sicché sarebbe più prudente affidarli al club dei fottuti assassini – il saudita Mbs, l’emiratino Mbz, al Sisi, Haftar – patrocinat­o da Trump e da Bibi.

Ma anche dal mero punto di vista realista questo ragionamen­to fa acqua. Sulla sponda sud del Mediterran­eo duecento milioni di arabi sotto i 25 anni, nell’epoca di internet non più cloroformi­zza bili dai media ufficiali, leggono ogni giorno di un’europa non ostile ai fottuti assassini: se le future classi dirigenti arabe crescesser­o con questa immagine dell’unione e dello stato di diritto liberale, finiremmo per pagare un prezzo salato in futuro. Certo queste conseguenz­e non sono misurabili come il volume dell’ interscamb­io. Mach ile credesse ipotesi dubbie, pensi a quale implacabil­e nemico delle democrazie occidental­i britannich­e e americane hanno costruito in Iran sostenendo la brutalissi­ma dittatura dello Shah. Quanto poi agli aspetti economici, se è realismo badare agli affari, lo è altrettant­o domandarsi cosa ne sarà di molti accordi commercial­i quando gli al Sisi cadranno. I perseguita­ti di oggi potrebbero essere i vincitori di domani. E anche in questo caso l’interesse nazionale non risiedereb­be nell’assecondar­e i dittatori che uccidono e torturano su larga scala, ma nell’aiutare in segreto le vittime a difendersi.

REGENI & C. QUALE VANTAGGIO, ANCHE ECONOMICO, ABBIAMO DA AL SISI?

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