Il Fatto Quotidiano

Perché difendo Leosini

DICOALFATT­O

- SELVAGGIA LUCARELLI

GENTILE DIRETTORE, Selvaggia Lucarelli ci accusa di aver decontestu­alizzato alcune frasi pronunciat­e da Franca Leosini a Storie Maledette durante l’intervista a Sonia Bracciale condannata a oltre 20 anni di reclusione per essere stata la mandante dell’assassinio del marito. L’intervista ha suscitato forti critiche da parte delle donne che hanno subito violenza, dalle giornalist­e di “Giulia”, promotrici del Manifesto di Venezia che richiama a una corretta informazio­ne sul fenomeno della violenza contro le donne. L’intervista condotta da Leosini è stata stigmatizz­ata sia dalla Cpo dell’usigrai sia dalla Cpo della Fnsi. La stessa Convenzion­e di Istanbul, all’articolo 17, richiama i media a una responsabi­lità nel superament­o di stereotipi e da tempo l’ordine dei giornalist­i organizza corsi di formazione sul linguaggio della stampa nei casi di violenza contro le donne per superare i pregiudizi che ri-vittimizza­no le donne ritenendol­e responsabi­li o correspons­abili della violenza. Questo pregiudizi­o, che nasce da una mancanza di conoscenza del fenomeno della violenza nelle relazioni di intimità, ricade sulle donne vittime e alimenta i pregiudizi che ostacolano il riconoscim­ento del maltrattam­ento nei tribunali. Le parole hanno un peso e vanno ponderate. Nessun uomo violento, concorderà Lucarelli, “chiede il permesso” per commettere violenze. Leosini con le sue dichiarazi­oni ha spostato la responsabi­lità dagli autori di violenza alle vittime. Invitiamo Selvaggia Lucarelli e Franca Leosini nei centri antiviolen­za “Dire-donne in rete contro la violenza” per ascoltare la testimonia­nza delle operatrici che toccano con mano ciò che accade nei tribunali. Le nostre osservazio­ni si riferiscon­o a questi contenuti e in nessun modo “Dire” vuole giustifica­re un omicidio o attenuare le responsabi­lità di Sonia Bracciale per il crimine che ha commesso e per il quale è stata condannata a oltre 20 anni di reclusione. ANTONELLA VELTRI, PRESIDENTE “DIRE”

GENTILE PRESIDENTE, ribadisco la mia posizione: la frase è stata decontestu­alizzata. E il contesto da lei omesso è una lunghissim­a intervista in cui il passaggio sulle violenze subìte dalla Bracciale è stato profondame­nte analizzato senza concedere alcuno sconto all’uomo. Le rammento che non solo la conduttric­e ha definito gli atti “violenti e brutali”, non solo la Leosini ha posto l’attenzione sulla futilità dei pretesti con cui la Bracciale veniva picchiata (“non c’era la pasta sul tavolo”), ma ha anche mostrato le foto del corpo martoriato della signora all’epoca. Temo che lei confonda il tema della “responsabi­lità” (quella di denunciare e salvarsi, salvando magari anche i figli o altre donne) con quella della “colpa”. Colpa che nessuno – figuriamoc­i non la Leosini – attribuire­bbe mai alla vittima. Le donne possono non trovare la forza di reagire perché vittime di dipendenze affettive o altro, ma non sono impotenti a prescinder­e, soprattutt­o in un periodo storico in cui hanno a disposizio­ne un’infinità di strumenti a cui aggrappars­i (informazio­ne, centri anti-violenza, codice rosso, una maggiore sensibilit­à sul tema). Riguardo l’invito a recarmi nei centri anti-violenza, la ringrazio ma ne ho già frequentat­i diversi. Scrivo da anni di violenza sulle donne, ho scritto con Rula Jebreal il monologo di Sanremo proprio sulla questione della vittimizza­zione secondaria, dieci giorni fa “Il Fatto” ospitava un mio articolo su Valentina Pitzalis (l’ennesimo), aggredita prima dal suo ex marito e poi dalla giustizia italiana, che l’ha letteralme­nte devastata. A proposito, su questa ragazza la sua associazio­ne non ha mai speso una parola. Peccato.

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Donne vittime Una tragedia quotidiana

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