Tamponi per tutti, pubblici e a basso costo: l’Università di Firenze ci prova
L’Università ha prodotto un reagente per l’ospedale Il rettore: “Coinvolgere l’istituto farmaceutico militare”
Come ormai sappiamo tutti, in questa fase 2 sarà necessario tracciare velocemente i nuovi positivi da Covid-19, cioè fare i tamponi rapidamente ai contagiati e diffusamente ai loro contatti. Il problema, ci dicono gli esperti, è che ne facciamo ancora troppo pochi. Perché? Non tanto perché manchino i tamponi in sé, quanto i reagenti per processarli: il governo qualche giorno fa ha fatto una richiesta di fornitura aperta ad aziende di tutto il mondo, ma ovviamente tutto il mondo ora ha bisogno di reagenti per i tamponi e trovarli è difficile.
Per questo quello che sta accadendo in Toscana – e, in particolare, tra l’università di Firenze e l’azienda ospedaliero- universitaria Careggi – è degno di nota: si tratta del primo tentativo di dare una risposta di sistema, e di sistema pubblico, alla cronica difficoltà di approvvigionamento di reagenti. In sostanza, grazie anche al Consiglio regionale e al coinvolgimento dell’Istituto chimico farmaceutico militare di Firenze, esiste la possibilità – solo la possibilità per ora – di organizzare la produzione pubblica di reagenti per permettere di testare la popolazione su larga scala risparmiando pure un bel po’ di soldi.
PARTIAMO DALL’INIZIO. Racconta il rettore dell’Università di Firenze, Luigi Dei:“Poco prima di Pasqua mi ha chiamato il direttore sanitario di Careggi e, sapendo che sono un chimico, mi ha chiesto se potevamo fare qualcosa per i reagenti, visto che avevano problemi di approvvigionamento su uno dei cinque necessari a processare i tamponi. Io mi sono fatto mandare le schede tecniche e un campione e alla fine abbiamo prodotto alcune soluzioni e le abbiamo fornite ‘al buio’al laboratorio perché le verificasse: è venuto fuori che il nostro reagente funziona al pari di quello venduto”. Insomma, l’Università di Firenze – come succede anche altrove, ad esempio a Padova – si è prodotta in casa uno dei reagenti necessari a processare i tamponi: ad oggi 25 litri che servono per 25mila tamponi, distribuiti a Careggi e altri laboratori toscani.
A lavorare alla “ricetta” è stata la professoressa Sandra Furlanetto del Dipartimento di Chimica: “Abbiamo prodotto un reagente che funziona e da allora riceviamo un sacco di richieste da aziende per la formula, ma per noi è fondamentale che questa cosa venga gestita senza interessi economici. Per questo abbiamo mandato la formula solo alle università che ce l’hanno chiesta, ad esempio Sassari, e al ministero della Salute e alla Protezione civile: gli è arrivata circa un mese fa e siamo in attesa della valutazione del Comitato tecnico-scientifico”. Nel frattempo, Furlanetto lavora alla riformulazione degli altri 4 reagenti e pensa al futuro: “C’è un discorso di costi industriali: per produrne su larga scala, a fronte di una preparazione piuttosto semplice, serve una struttura attrezzata”.
Per questo il rettore Dei s’è rivolto all’Istituto chimico farmaceutico militare: “Ho scritto al direttore. Se si decidesse di usare quella struttura si potrebbero realizzare migliaia di litri in tempi ragionevolmente brevi. Forse, da un punto di vista di produzione industriale, anche se si mettessero insieme tutte le università italiane potremmo avere una produzione pubblica importante: parliamo di costi bassi e un impatto decisivo per la salute”. Per capirci, solo il reagente auto-prodotto finora ha un costo di mercato di circa 114 dollari per 200 millilitri, all’ingrosso 570 dollari al litro: a Careggi lo hanno prodotto con 25 euro al litro. E parliamo di un solo reagente su 5.
L’idea dell’Università di Firenze, in attesa che si esprimano da Roma, in Regione è piaciuta. Ne ha parlato il governatore Enrico Rossi e sabato il Consiglio regionale ha approvato un ordine del giorno che chiede alla Giunta di “riorganizzare i laboratori di patologia clinica degli ospedali pubblici” e “attivarsi col governo per affidare la produzione dei reagenti necessari all’Istituto chimico farmacologico militare”.
Il programma, però, non è così semplice come potrebbe sembrare. Il motivo ce lo spiega Gianni Rossolini, direttore di Microbiologia proprio a Careggi, cioè l’uomo che ha usato i reagenti auto-prodotti: “Per noi è stato un aiuto: una delle nostre linee produttive era bloccata. Però quali composti chimici servono dipende dai macchinari che si usano e dal processo che si è scelto: non c’è un unico standard. Noi stessi, pur di fare più tamponi possibili, abbiamo linee di produzione diverse, che normalmente per un laboratorio sarebbe un controsenso”.
INSOMMA, perché la cosa abbia un senso bisogna sostanzialmente imporre uno standard unico e per questo è fondamentale “riorganizzare i laboratori pubblici” come chiedono la Regione Toscana e ora anche il Forum per il diritto alla salute: “Serve un Piano nazionale: il governo emani un decreto che finanzi immediatamente la produzione pubblica di reagenti a basso costo”. Il Forum cita un appello di Andrea Crisanti e della Fondazione Hume, secondo cui il costo totale per tampone, autoproducendo i reagenti e usando i laboratori pubblici, sarebbe di 15 euro: testare il 20% della popolazione – 12 milioni di persone – costerebbe 180 milioni di euro.
Un piano nazionale Usando prodotti “fatti in casa” e i laboratori pubblici ogni test costerebbe 15 euro