Fosse Ardeatine, la strage della burocrazia disumana
335 le vittime dell’eccidio nazista del ’44. Ecco il libro “ufficiale”
Su una parete esterna della casa in cui vivo a Roma c’è una lapide con i nomi di Alfredo Mosca e Mario Felicioli. “Strappati da questa officina caddero colpiti alle spalle, essi che avevano nel cuore l’ideale di un’umanità affratellata nel lavoro e nella fede. Fosse Ardeatine, 24 marzo 1944. Nel secondo anniversario gli amici Q. P.”. Non avrei saputo nulla di Mosca e Felicioli, salvo l’indicazione di professione (elettricisti) e di religione (cattolica) che compare negli elenchi scritti (fra informazioni a voce, dati di arresto e di carcerazione) subito dopo la Liberazione di Roma.
ORA PERÒ C’È UN LIBRO, Le Fosse Ardeatine, appena pubblicato da Anfim (Associazione nazionale famiglie italiane martiri caduti per la libertà della patria). Insieme alla Fondazione Terzo Pilastro, alla Regione Lazio, al ministero della Difesa, che si avvale del lavoro di due gruppi di straordinari protagonisti. Uno, per la verifica e il coordinamento scientificio dei fatti, guidato da Umberto Gentiloni Silveri e Stefano Palermo. L’altro, per la ricostruzione e la narrazione degli eventi, ha la voce, la memoria e i sentimenti di Alessandro Portelli; con altre voci competenti, indicate nel colophon del libro. Ma il testo si fonda sulla rigorosa organizzazione dell’impianto progettuale e del coordinamento editoriale (dalla organizzazione dei dati, delle storie, delle immagini, alla impaginazione) che fa capo al gruppo Alicubi e al suo principale esperto (oltre che fondatore e direttore) Augusto Cherchi.
Ora c’è dunque sulle Fosse ardeatine (crimine mai abbastanza ricordato tra le vicende della Resistenza e della Liberazione) un volume che, se non è “ufficiale” dal punto di vista della burocrazia, certo lo è per la ricomposizione accurata del grande delitto; e dell’accoglienza, l’una accanto all’altra, delle storie di tutte le 335 vittime della strage, organizzata con estrema rapidità e precisione omicida.
Le pagine di Fosse Ardeatine vi accompagnano lungo un pauroso tragitto: prima si decide quanti devono assolutamente morire; poi c’è la selezione, doppiamente delittuosa perché senza alcun rapporto con ciò che è accaduto prima e con ciò che deve risultare dopo. Un semplice e sanguinoso atto d’obbedienza burocratica. Un’indifferenza disumana distingue il criterio di composizione delle liste. Persino la qualifica di “ebreo” diventa pretesto per raggiungere il numero prescritto dalle autorità, insieme a “cattolico”, “operaio” e “contadino”.
La partecipazione alla “banda armata” (partigiani), non è il punto. Il punto è una, 5 o 10 persone in più da uccidere per completare un conto che si direbbe, come in una storia di terrore, redatto direttamente dalla morte. Certo le Fosse Ardeatine sono rimaste, nello sterminio arbitrario della libera selezione, una sorta di sostituto del destino. Ma il libro, con la scrittura emozionante di Portelli e il perfezionismo organizzativo di Augusto Cherchi (che ha composto il volume) è un documento straordinario sulla nascita (dolorosa e coraggiosa) della Repubblica, dopo e contro l’orrore fascista. Leggete il cumulo di documenti: generali e contadini, manager e operai, ebrei e cattolici, militanti selezionati a caso. Ci sono tutti, ci siamo tutti, intorno alle 2 persone il cui nome è ancora nella lapide della casa in cui abito, a Roma, Mosca e Felicioli. Due operai romani “strappati al loro lavoro”. Certo da polizia fascista (bisognava sapere che erano socialisti). Essi, con tutti gli altri della cieca strage, sono i primi cittadini della nuova Italia che ora dobbiamo difendere. Questo libro è una efficace arma nonviolenta.