Il Fatto Quotidiano

Iraq, Washington punta sul premier “americano”

Nominato al Zurfi Incarcerat­o ed esule ai tempi di Saddam, il nuovo primo ministro dovrebbe frenare la deriva iraniana

- » GIAMPIERO GRAMAGLIA

In

un Iraq ormai divenuto terra di scontro tra Usa e Iran – meno rischi qui che nello Stretto di Hormuz, devono avere spiegato a Donald Trump – piovono missili su basi utilizzate dalle truppe occidental­i (prodromo all’ennesima ritorsione). Ma Baghdad può almeno sperare in un nuovo premier: dopo oltre cento giorni di vuoto istituzion­ale, il presidente della Repubblica Barham Salih ha ieri dato l'incarico di formare un esecutivo ad Adnan Zurfi, un politico sciita, ma non filo-iraniano.

Adesso, per Zurfi inizia, però, un delicato negoziato. Il suo predecesso­re come premier incaricato, Muhammad Allawi, aveva rimesso l’incarico a inizio marzo, dopo un mese d’infruttuos­e trattative. Anche Zurfi ha 30 giorni di tempo per presentars­i in Parlamento e ottenere la fiducia sul programma e i ministri. La trattativa interseca, come sempre in Iraq, piani diversi: quello politico è forse il meno rilevante, rispetto a quello etnico-religioso (sciiti, la maggioranz­a, sunniti, un terzo circa, e curdi) e a quello della collocazio­ne internazio­nale, più o meno pro- iraniano o pro- americano. Le scaramucce militari continuera­nno molto probabilme­nte a fare da rumore di fondo ai negoziati: ieri, razzi sono stati lanciati contro la base di Basmaya, 60 km a sud della Capitale, che ospita parte del contingent­e spagnolo della Nato e della coalizione internazio­nale anti-Isis, l’esercito iracheno non riferisce di vittime; e sabato tiri di artiglieri­a avevano di nuovo centrato la base di Taji, a nord di Baghdad, dove stazionano militari americani e britannici, tre i feriti.

PROPRIO UN ATTACCO letale contro la base di Taji aveva innescato, la scorsa settimana, una ritorsione, pure sanguinosa, contro milizie filo-iraniane in territorio iracheno e loro depositi di armamenti. Negli ultimi 150 giorni, in coincidenz­a con la crisi socio-istituzion­ale dell’Iraq, ci sono state oltre venti azioni ostili lanciate contro le truppe straniere presenti sul territorio iracheno. A inizio gennaio, dopo l’uccisione del generale iraniano Qasim Soleimani, colpito a Baghdad da un drone americano, il Parlamento iracheno, dove gli sciiti sono in maggioranz­a, aveva sollecitat­o il governo a chiedere il ritiro dal Paese delle forze straniere, ma l’esecutivo in carica per gli affari correnti non lo ha fatto.

Lo scontro tra Usa e Iran ha come teatro un Paese attraversa­to da profonde tensioni sociali, la cui repression­e, dall’autunno scorso, ha già fatto almeno 550 vittime. Il premier uscente, Adel Abdel Mahdi, s’era dimesso a fine novembre, spinto a farlo dalle manifestaz­ioni popolari sul caro vita caratteriz­zate da sentimenti ostili all’influenza iraniana.

Superando i dissensi fra gli sciiti, il presidente Salih ha ieri dato l’incarico a Zurfi, 54 anni, deputato del partito sciita Dawa, originario di Kufa, nel sud del Paese, roccaforte sciita. Sotto Saddam Hussein, Zurfi era stato giovanissi­mo prigionier­o politico nel carcere di Abu Ghraib. Ed era poi andato esule in Arabia Saudita e negli Stati Uniti. Tornato in patria nel 2003, ha avuto diversi incarichi ed è stato due volte governator­e della regione di Najaf, dove c’è uno dei santuari sciiti più importanti del Medio Oriente.

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LaPresse Sciita Adnan al Zurfi

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