La finanza internazionale all’assalto pro Autostrade
Azionisti alla battaglia legale contro il governo
■Per scongiurare la revoca della concessione, gli investitori internazionali dei Benetton scrivono a Bruxelles sperando che fermi l’esecutivo come nel 2006
Sulla strada della revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia, ormai condivisa anche dal Pd come abbiamo scritto ieri, l’ostacolo più grosso per il governo non è affatto l’eventuale risarcimento da riconoscere alla società (semmai ci si aspetta che siano i Benetton a pagarne uno allo Stato), ma i famigerati “mercati” internazionali: il tentativo di difendere il bancomat dei caselli, però, non arriva dagli azionisti diretti di Aspi (i cinesi di Silk Road e la tedesca Allianz con un 12% totale), ma da quelli della controllante Atlantia, il cui pacchetto di controllo (30,2%) è com’è noto in mano alla famiglia Benetton (che ieri ha incassato la nomina di Carlo Bertazzo, loro uomo di fiducia, a nuovo ad).
Sempre ieri – a confermare una volta di più che Luciano Benetton e il manager Gianni Mion non vogliono concedere alcunché al governo - è comparsa sulle agenzie questa notizia: a breve gli investitori internazionali di Atlantia scriveranno alla Commissione Ue per chiederle di intervenire contro la norma in materia di autostrade contenuta nel decreto Milleproroghe. In soldoni, quel testo cambia i meccanismi di risarcimento per revoca della concessione applicando a tutte le società quanto previsto dal codice degli appalti: niente più mega- indennizzi grazie alle clausole regalo del 2007-08, peraltro giudicate nulle anche dalla Corte dei conti (non bastasse il codice civile).
QUESTA NORMAè un’inaccettabile modifica unilaterale del contratto, scriveranno a Bruxelles gli azionisti, citando un precedente del 2006, quando la Commissione avviò una procedura di infrazione per il tentativo del governo Prodi di modificare il sistema concessorio in modo che fosse un po’ meno scandalosamente a vantaggio dei privati: ci pensò Berlusconi a chiudere il dibattito nel 2008, quando – appena insediato – fece approvare il regalo addirittura per decreto.
In realtà, le modifiche attuali paiono meno estese di quelle del 2006 e non è chiaro come reagirà stavolta la Commissione, che comunque è storicamente assai sensibile alle sollecitazioni delle lobby finanziarie. I rumors , peraltro, non chiariscono chi tra gli azionisti firmerà la lettera, ma Atlantia è largamente partecipata da investitori esteri: tra i più grandi ci sono il fondo sovrano di Singapore Gic Pte Ltd con l’8,1%, la banca d’affari americana Lazard (5%) e la londinese Hsbc (5%). Anche il 45,7% di flottante, però, è detenuto soprattutto all’estero.
Gli azionisti (e le banche creditrici) hanno comunque buone ragioni per preoccuparsi: senza il bancomat dei caselli autostradali la costruzione finanziaria messa in piedi dai Benetton varrebbe – a voler essere gentili – molto meno di oggi. È sulla base di questo pericolo che ieri anche Standard & Poor’s, dopo Moody’s, ha abbassato il rating di Atlantia a livello “junk”, spazzatura. E di sicuro non è un bel segnale neanche che l’8 gennaio Ugo de Carolis – ad di Aeroporti di Roma (sempre parte di Atlantia) – abbia venduto 27 mila azioni della holding dal valore di circa 570 mila euro.
Sono gli effetti sui mercati il motivo per cui, oltre ai soliti renziani, anche il ministero del Tesoro (seppur guidato dal dem Roberto Gualtieri) è ancora molto cauto sulla revoca: la sola Autostrade per l’Italia ha quasi 11 miliardi di euro di debiti e l’intervento del governo dovrà ovviamente tener conto anche dei rapporti finanziari dell’azienda.
LA STRADA di Conte e soci è però quasi obbligata dalla chiusura dei Benetton a qualunque forma di ripensamento della concessione e questo nonostante i morti di Genova (e Avellino), le mancate manutenzioni, gli allarmi non ascoltati, persino il recente crollo in galleria del 31 dicembre. Il premier, ieri su Twitter, l’ha messa così: “La decisione arriverà presto e poggerà su solide basi tecnico-giuridiche. Ormai è evidente che sono emerse gravissime inadempienze nella gestione. La vocazione di questo governo è di tutelare l’interesse pubblico, non di assicurare un futuro vantaggioso ai concessionari privati. Non faremo sconti a nessuno”. Quanto agli investitori stranieri, “sanno che anche nei loro Paesi vi sono sistemi legali che prevedono rimedi molto severi in caso di inadempimenti così gravi”. Nicola Zingaretti invece, nonostante sia schierato per la revoca, non vuole esporsi: “Il governo approfondisca l’argomento e poi decida sulla base del merito. In uno Stato di diritto si fa così”. E così sarà: l’unico dubbio è se farlo la prossima settimana o dopo le Regionali.
La scelta poggerà su solide basi tecnicogiuridiche : sono emerse gravissime inadempienze gestionali e non faremo sconti a nessuno GIUSEPPE
CONTE
Chi c’è nella proprietà
Il controllo col 30% è della famiglia veneta, poi con quote rilevanti ci sono il fondo di Singapore, la banca Usa Lazard e quella inglese Hsbc