Bavaglio e intercettazioni: i dem verso una nuova resa
Ancora una proroga: la riforma targata Orlando e invisa alle toghe (e al M5S) rinviata di altri 6 mesi. Se ne riparlerà nel 2020
Disinnescata, per ora, una delle mine per il governo giallo-rosa. Ci sarà la proroga, la quarta, della riforma Orlando sulle intercettazioni mai digerita da M5S e in particolare da Alfonso Bonafede. Da parlamentare prima e da ministro della Giustizia poi. Il caso vuole, successore proprio di Andrea Orlando. La proroga della riforma, ancora in corso, scade il 31 dicembre, la prossima scadrà a fine giugno 2020. Quest’ultima è stata inclusa nel milleproroghe, ma se, come sembra, non verrà inserito nella legge di Bilancio, lo slittamento della riforma intercettazioni ci sarà comunque. Il piano b è un decreto legge.
LA NOTIZIA della proroga arriva dopo che nei giorni scorsi Il Fatto ha anticipato la seria preoccupazione dei capi delle maggiori Procure per una normativa che, in assenza del nuovo slittamento annunciato, sarebbe entrata in vigore il mese prossimo senza un regime transitorio e senza apparecchiature elettroniche e altri mezzi di cui gli uffici giudiziari non sono stati dotati. Infatti, anche la nuova proroga ha la stessa motivazione delle tre precedenti di luglio 2018, aprile e agosto 2019: il rinvio “consente di adeguare al meglio le attività e le misure organizzative rispetto alle necessità degli uffici”. I procuratori di Milano Francesco Greco, di Firenze Giuseppe Creazzo, di Napoli Giovanni Melillo e il facente funzioni a Roma, Michele Prestipino sono in attesa di capire cosa succederà. La loro lettera, che era pronta per essere spedita al ministro Bonafede, per ora resta sulle loro scrivanie. “Intanto – ci dice uno di loro –, abbiamo incassato il rinvio a giugno”. Per i magistrati, in vista di una entrata in vigore tra poche settimane, era fondamentale sapere come avrebbero dovuto porsi rispetto a indagini già in corso di cui hanno già disposto le intercettazioni. Problema rinviato con la proroga, si continua con il vecchio regime. Bonafede, intanto, prova a tranquillizzare il Pd, soprattutto diversi parlamentari che ieri si sono lamentati di aver saputo della proroga a cose fatte. “È stata effettuata – filtra dalla sede del ministero della Giustizia – in via meramente cautelativa, considerate le difficoltà tecniche che avrebbe comportato per le Procure un’entrata in vigore dal 1º gennaio”. D’altronde, come ci avevano detto sabato scorso esponenti vicinissimi ad Andrea Orlando, sulla proroga non ci sarebbe stato alcun muro del Pd “ma questa volta non può esserci un semplice rinvio. Vogliamo capire cosa vuole tenere il ministro della riforma e cosa vuole modificare”. Bonafede – fanno sapere dal ministero – ha confermato al Pd “l’ampia disponibilità a trovare un accordo, eventualmente anche con un decreto legge”. Con il nuovo anno quindi si aprirà un nuovo tavolo con tanto di filo spinato, dato l’oggetto del contendere, anche se fonti ministeriali sostengono che “in base alle interlocuzioni già in atto (con il Pd, ndr) sembrerebbero esserci margini di convergenza”.
DIFFICILE credere a una intesa su un argomento che è sempre stato per tutti i governi e le maggioranze una vera croce. C’è poi da considerare che il ministro Bonafede non ha mai condiviso l’essenza della riforma: il potere attribuito alla polizia giudiziaria, gerarchicamente legata all’esecutivo, di scegliere quali siano le intercettazioni rilevanti da trascrivere per i pm, che, invece, sono indipendenti dal governo. Sempre la pg stabilirebbe quali siano le intercettazioni irrilevanti, segnando solo data e ora. Destinazione di quest’ultime: una cassaforte sotto responsabilità dei pm. E se un avvocato vuole cercare prove a discolpa del suo assistito le può ascoltare ma non può né farne copia né prendere appunti. In un solo colpo si pregiudicherebbero le indagini dei pm e quelle difensive. Ecco perché un compromesso M5s-Pd sulla riforma resta tutto in salita.
Il prossimo tavolo Le parti fanno sapere che ci sono “margini per un’intesa”. Ma Pd e grillini sono distanti