Il Fatto Quotidiano

Scuola, presepe & cotechino: la banalità del razzismo

Natale tra i banchi, in Piemonte

- » TOMASO MONTANARI

La lettera dell’assessora di FdI ai presidi della regione: “Natività e recite fondamenti della nostra identità”

“Illustriss­imo dirigente scolastico, considerat­o l’avvicinars­i del Santo Natale le chiedo la disponibil­ità a valorizzar­e all’interno del Suo istituto, ogni iniziativa legata a questa importante festività come l’allestimen­to di presepi e lo svolgiment­o di recite o canti legati al tema della Natività. Ritengo che la ricorrenza natalizia e le conseguent­i tradizioni come il Presepe, l’Albero di Natale e le recite scolastich­e ispirate al tema della Natività siano parte fondante della nostra identità culturale e delle nostre tradizioni che la Regione Piemonte intende tutelare e mantenere vive. Allo stesso tempo, è evidente che la conoscenza delle nostre tradizioni scevra da qualsivogl­ia connotazio­ne ideologica sia un supporto alla piena integrazio­ne per chi proviene da altre realtà”. Così Elena Chiorino di Fratelli d’Italia, assessora all’Istruzione, Lavoro, Formazione profession­ale diritto allo studio universita­rio della Regione Piemonte, si è rivolta a tutti i dirigenti scolastici piemontesi. La banalità del razzismo, verrebbe da commentare. Perché queste parole così grigie, usurate, burocratic­he e dozzinali, con le loro maiuscole retoriche, contengono ed esprimono una violenza inaudita. Una quadruplic­e violenza.

LA PRIMA è quella usata contro le comunità scolastich­e di insegnanti, alunni e genitori, che si trovano a subire questa pressione politica e ideologica dall’alto: alla faccia di ogni autonomia, e nel sovrano disprezzo del percorso di ogni istituto. La seconda è quella usata contro la laicità dello Stato, contro la Costituzio­ne, contro quella religione civile della cittadinan­za, fondata sul rispetto di ogni diversità, per cui in Italia si combatte almeno dai tempi di Mazzini.

La terza è quella probabilme­nte più inconsapev­ole: ed è quella contro i cattolici che ci credono davvero. E che non pensano che la loro fede si riassuma in un rosario brandito da un predicator­e di odio, intinto nel mojito e incornicia­to da cubiste. Perché è fin troppo evidente la strumental­ità di questo maldestro marketing dei simboli cristiani: usati e abusati perché ritenuti soprattutt­o simbolo etnico, nazionale e nazionalis­ta. La “nostra identità culturale” è l’espression­e chiave di questa direttiva degna di una teocrazia orientale. Ora, chiunque abbia sfogliato anche solo un po’ il Nuovo Testamento dovrebbe aver colto la costante separazion­e del messaggio cristiano da ogni identifica­zione etnica: per chi segue Gesù, scrive san Paolo, non “c’è più uomo o donna, schiavo o libero, giudeo o greco”. Perché l’unica appartenen­za “identitari­a” per un cristiano è quella umana. Sappiamo bene che millenni di storia, dall’editto del 380 in cui Teodosio faceva del cristianes­imo la religione di Stato, si sono incaricati di contraddir­e questa incontrove­rtibile verità: benedicend­o cannoni, ungendo col crisma immani macellai, e invariabil­mente urlando da ogni lato del campo di battaglia: “Dio con noi!”. Ma almeno dal Concilio Vaticano II è acquisito che si trattava di mostruose bestemmie del nome di Dio. Ma, si dirà, qua mica facciamo le crociate: vogliamo solo fare il presepe nelle scuole. Il presepe vale l’albero, dice l’assessora: e questa sì che è un’offesa ai cristiani, che vedono ridotti i loro simboli rivoluzion­ari ad innocuo arredo natalizio: con le immagini della Sacra Famiglia considerat­e alla stregua del cotechino.

LA QUARTA violenza è l’unica voluta, deliberata. Ed è la più odiosa, perché è quella contro i più i deboli: “Chi proviene da altre realtà”, come dice pudicament­e l’assessora del partito della cristianis­sima Giorgia. Cioè i migranti, gli ‘islamici’, i ne(g)ri. E pure gli ebrei, eh. L’assessora non è sfiorata dal dubbio che esistano cittadini italiani da generazion­i, e che dunque non provengono affatto da altre realtà, ma non sono cristiani. E che hanno il diritto di non vedere i loro figli fare il presepe cristiano in una scuola laica della Repubblica mantenuta con le loro tasse. (A proposito, la Regione Lombardia quest’anno stanzia 50.000 euro per fare presepi ovunque…).

Quanto ai nuovi italiani, o a coloro cui neghiamo la nostra cittadinan­za pur usandone le braccia e la fatica: loro si devono ‘int eg ra re ’. “P ie namente”, dice la pia

fratella d’Italia. Ti vuoi integrare? Devi fare il presepe. Che farebbe parte “delle nostre tradizioni che la Regione Piemonte intende tutelare e mantenere vive”. Chissà se l’assessora sa di star parafrasan­do l’articolo 9 della Costituzio­ne – quello che parla del rapporto tra le pietre e il popolo cui è intitolata questa rubrica. Lo sta parafrasan­do, ma senza capirlo. Lì c’è scritto che la Repubblica “promuove lo sviluppo della cultura” e “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”. È l’unico dei principi fondamenta­li in cui si usi la parola ‘nazione’: e proprio per delinearne l’”identità cultural e”, come direbbe la nostra simpatica crociata piemontese. Ebbene, lì non si parla di tradizioni, di fede, di razza, di etnia, di terra o tradizioni. Si parla di “sviluppo della cultura”. Cioè non di una cultura statica, ma di un progresso infinito di cambiament­o e contaminaz­ione. Già: perché se esiste una “identità culturale italiana” il suo nome è “meticciato”. E poi quell’articolo parla del dovere di tutelare il territorio, la storia e l’arte: cioè un palinsesto che rappresent­a tutta la varietà e la meraviglia di un paese in cui cristiani, ebrei, musulmani, agnostici, atei e tanti altri ancora si sono incontrati e hanno lasciato una traccia. A scuola non si fa il presepe: si fa l’Italia. O si muore: di razzismo, e ignoranza.

La fede non è un rosario brandito da un predicator­e di odio, intinto nel mojito e incornicia­to da cubiste: maldestro marketing dei simboli cristiani

Chissà se l’assessora sa di rovesciare l’articolo 9 della Carta: la Repubblica “promuove lo sviluppo della cultura” e “tutela il paesaggio e il patrimonio della nazione”

Per non dimenticar­e Nella Costituzio­ne non si parla di fede, razza, etnia o tradizioni, ma di “sviluppo della cultura”

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La lettera dell’assessora all’Istruzione del Piemonte ai presidi della regione. In alto un presepe
LaPresse/Ansa Carta canta La lettera dell’assessora all’Istruzione del Piemonte ai presidi della regione. In alto un presepe
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